Non ditemi che sono malato. Fra gli italiani che soffrono d’asma sembra prevalere la strategia, pericolosa, del ‘negazionismo’: secondo un’indagine condotta da Doxa per conto di GlaxoSmithKline, il 96% dei pazienti ritiene che la propria condizione sia sotto controllo. E questo benché 3 asmatici su 4 abbiano sperimentato crisi acute nel corso della vita (uno su 4 nell’ultimo anno), e uno su 3 dichiari di essere finito in Pronto soccorso. Il 40% riconosce molto seri i propri disturbi, tuttavia la maggioranza si sente ‘sano’. “Ho solo un po’ d’asma“. La versione dei malati è stata illustrata e analizzata oggi a Milano, in un incontro promosso da Gsk che annuncia la prossima pubblicazione su ‘The Lancet’ di un nuovo studio sull’efficacia e la sicurezza ‘sul campo’ del trattamento a base di fluticasone furoato e vilanterolo.
La survey di Doxa ha esaminato le risposte di 251 pazienti asmatici over 15 – metà maschi e metà femmine, residenti in centri campione equamente distribuiti lungo tutto lo Stivale – attraverso l’SF36. Lo strumento misura della qualità di vita correlata alla salute e viene usato nella letteratura internazionale come versione short del questionario Mos (Medical Outcome Study). Nove i parametri valutati: attività fisica, ruolo e salute fisica, dolore fisico, salute generale, vitalità, attività sociali, ruolo e stato emotivo, salute mentale e cambiamento in salute. La maggior parte (44%) dei malati interpellati ha un’asma di lunga data (più di 10 anni dalla diagnosi), eppure “non si ritiene malato“, spiega Massimo Sumberesi, direttore generale di Doxa Marketing Advice.
L’esperto la chiama “dissonanza cognitiva: un ‘bias’ percettivo della propria condizione, dovuto probabilmente al fatto che i sintomi dell’asma sono spesso saltuari: passata la fase acuta, il paziente torna alla normalità e di conseguenza a una percezione di salute“. Un dato che subito ne produce un altro: il dilagare del fai da te. Nonostante l’impatto dei disturbi – i più comuni sono fame d’aria, peso sul petto, tosse secca e stizzosa, respiro sibilante – “la stragrande maggioranza degli asmatici si cura solo saltuariamente“, rileva Sumberesi. Del 70% dei pazienti ai quali è stata prescritta una terapia inalatoria, appena il 16% la assume regolarmente; il 53% ne fa uso al bisogno e, di questi, il 35% solo durante una crisi e il 18% soltanto in caso di emergenza. Il 13% dice di seguire “altre terapie” e il 18% ricorre ad “altri metodi o stratagemmi”.
“Non dobbiamo dimenticare – ammonisce il Dg di Doxa Marketing Advice – che dietro a queste percentuali ci sono numeri importanti: in Italia i pazienti asmatici sono circa 3 milioni, ma sappiamo che potrebbe trattarsi di un numero sottostimato“. Un esercito che crede di star bene, ma si sbaglia. A ‘smascherare’ i pazienti sono le loro stesse risposte, quelle che danno quando vengono interrogati in base ai parametri del questionario SF36. Emerge così che oltre 7 asmatici su 10 faticano a svolgere attività fisicamente impegnative, più di 6 su 10 arrancano salendo qualche piano di scale, oltre la metà trova difficile camminare per 1 chilometro. A chi dovesse ritenerlo normale, Sumberesi fa notare che “ci sono asmatici che praticano sport ad altissimo livello“.
L’asma toglie il respiro anche sul lavoro. Il 40% del campione ammette di avere avuto difficoltà nella propria professione, il 35% di avere reso meno di quanto avrebbe voluto, il 32% di aver dovuto limitare alcuni tipi di attività. “Valutando questo dato secondo l’algoritmo dell’SF36 – calcola il dirigente Doxa – esce un dato complessivo di 69, dove 100 indica la piena efficienza e 0 la problematicità massima“. Ciò significa che “ci troviamo di fronte a un 30% di capacità produttiva in meno, con un impatto significativo anche in termini economici“.
Se l’asma si associa a dolore fisico solamente in fase acuta, dall’indagine emergono strascichi psicologici: 3 pazienti su 10, per esempio, si percepiscono più cagionevoli dei sani. “Anche in questo caso, se guardiamo il dato aggregato il paziente si ritiene al 70%. Per fare un parallelo meccanico – esemplifica Sumberesi – è come avere un’auto a 4 marce e riuscire ad andare solo in terza”. Il che spiega anche perché “per quasi un terzo degli asmatici la malattia condiziona la concentrazione sul lavoro. Pur non presentando sintomi o situazioni depressive, rispetto ai sani nei pazienti emerge qualche segnale di disagio e una minore vitalità, che riverberano seppure non in modo decisivo sulle attività sociali“.
“Con questa ulteriore indagine, abbiamo voluto andare più a fondo rispetto alla survey precedente che ha valutato la conoscenza dell’asma da parte dei cittadini – afferma Andrea Rizzi, direttore medico Area respiratoria di Gsk – In questo caso abbiamo un dato validato scientificamente, che ci mostra come realmente il paziente vive la sua condizione. La centralità del paziente inizia con l’ascolto e queste indagini ci danno gli elementi per lavorare al meglio. Inoltre ci insegnano, o quantomeno ci invitano, a trovare delle chiavi per entrare in contatto con una persona malata che però non si ritiene tale, ma che ha bisogno di cure efficaci per non peggiorare“.
Guidata dalla stessa filosofia, Gsk ha concluso la seconda parte di un trial ‘in real life’ che ha coinvolto 4.233 pazienti. Il ‘Salford Lung Study’ aveva l’obiettivo di confrontare l’efficacia e il profilo di sicurezza di un trattamento con fluticasone furoato e vilanterolo rispetto a tutte le altre terapie di mantenimento prescritte dal medico di famiglia. Tutti i pazienti idonei con asma di 74 ambulatori di cure primarie nelle aree di Salford e South Manchester, in Inghilterra dove ha sede quartier generale del gruppo farmaceutico, sono stati identificati attraverso banche dati e invitati a partecipare allo studio dal loro medico di riferimento. I risultati saranno pubblicati la prossima settimana su ‘Lancet’.
“L’endpoint primario (analisi dell’efficacia nella popolazione in esame) è stato misurato alla 24esima settimana con l’Asma Control Test – anticipa Rizzi – e ha evidenziato che i pazienti in cura con fluticasone furoato e vilanterolo, rispetto a tutti gli altri, avevano una probabilità doppia di ottenere un miglioramento nel controllo della malattia“. Da Gsk evidenziano che il Salford Lung Study ha avuto criteri di esclusione minimi e ha arruolato pazienti di età estremamente diverse: uno specchio fedele, appunto, della vita reale. I medici avevano la possibilità di controllare i pazienti, gli eventuali accessi al Pronto soccorso o in ospedale e gli effetti indesiderati dei farmaci. Ma erano gli stessi malati a gestirsi la terapia, proprio come succede nella quotidianità.