“Dei 6.377 casi di malaria riportati in Italia nel periodo 2000-2008 – spiegano in una nota gli esperti della Società italiana di malattie infettive e tropicali – solo nove sono stati classificati come autoctoni: uno da trasfusione, uno da trapianto, quattro da ‘trasmissione ospedaliera’ e tre ‘da valigia’. Se ne deduce che la trasmissione ospedaliera è eccezionale ed infrequente, ma può verificarsi, e che in alcuni casi è stato impossibile ricostruire le modalità con cui ciò è potuto accadere o identificare comportamenti negligenti o errori da parte del personale“. “La ricostruzione dell’accaduto” nella vicenda della piccola Sofia morta a Brescia “potrà derivare solo dal completamento dalle indagini epidemiologiche e di laboratorio in corso” spiega Massimo Andreoni, direttore Uoc Malattie infettive, Università di Tor Vergata e Past President Simit (Società italiana di malattie infettive e tropicali). “L’eccezionalità del caso, la complessità della materia e la volontà di fare chiarezza ed evitare possibili equivoci ci portano tuttavia a ritenere utili alcune precisazioni“, aggiunge Massimo Galli, vicepresidente Simit e ordinario di malattie Infettive presso l’Università di Milano. “La malaria può essere trasmessa solo da un vettore (una zanzara del genere Anopheles), come accade nella stragrande maggioranza dei casi, o per scambio di siringa volontario tra tossicodipendenti (circostanza che non si verifica in Italia da molto tempo), o per incidente in ospedale (trasfusione, trapianto d’organo o altro tipo di incidente che comporti l’inoculazione del sangue di un paziente malarico in un’altra persona). Cinque specie di plasmodi (sulle oltre cento note) sono in grado di causare malaria nell’uomo. Le specie di Anopheles sono circa 430, di cui 30-40 possono trasmettere malaria. Ciascuna di esse è adattata a una specie di plasmodio o a una sottopopolazione nell’ambito di ciascuna specie“, spiegano gli esperti. “In Italia sono tutt’ora presenti popolazioni di Anopheles labranchiae, che risulterebbero in espansione numerica e geografica. Questa specie è stata responsabile fino al dopo guerra di migliaia di casi di malaria da Plasmodium falciparum (il nostro paese è stato dichiarato libero da malaria solo nel 1970). Non sembra tuttavia che le popolazioni autoctone di Anopheles labranchiae siano ‘competenti’ cioè possano infettarsi con ceppi di Plasmodium falciparum provenienti dall’Africa. In altre parole, se anche pungessero persone affette da malaria importata, non sarebbero in grado di trasmettere quel Plasmodium falciparum ad altre persone. Questo, almeno, fino a prova contraria basata su dati scientifici consistenti“. “Le femmine di zanzara anofele, (i maschi non si nutrono di sangue e quindi non trasmettono malaria) vivono in natura da una a due settimane, a seconda delle condizioni di temperatura e umidità. Le informazioni sulle distanze che le zanzare di questo genere possono percorrere sono limitate. In alcune specie africane gli spostamenti sarebbero contenuti al di sotto dei due chilometri. Tutte le considerazioni che possono essere fatte sulla ‘malaria da valigia’, cioè sulla malaria causata dalla puntura di una zanzara viva importata, devono tenere conto di questi fattori“. “I dati del ministero della Salute attestano la notifica in Italia, nel periodo 2011-2015, di 3.633 casi di malaria, quasi tutti d’importazione. Le infezioni contratte in Italia, cioè autoctone, sono state infatti solo sette: una sospetta da bagaglio (P. falciparum), una sospetta introdotta (P. vivax), cioè trasmessa da zanzare indigene; tre definite come criptiche (1 da P. falciparum e 2 da P. malariae) poiché non è stato possibile identificare con certezza la fonte d’infezione o ipotizzarne ragionevolmente una; due indotte (una da P. falciparum e una da P. malariae), cioè accidentalmente acquisite attraverso contaminazioni in ospedale. Dei 6377 casi di malaria riportati in Italia nel periodo 2000-2008, solo nove sono stati classificati come autoctoni: uno da trasfusione, uno da trapianto, quattro da ‘trasmissione ospedaliera’ e tre da valigia. Se ne deduce che la trasmissione ospedaliera è eccezionale ed infrequente, ma può verificarsi e che in alcuni casi è stato impossibile ricostruire le modalità con cui ciò è potuto accadere o identificare comportamenti negligenti o errori da parte del personale“.