Malaria: origini storiche e diffusione della malattia

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La malaria, il cui termine deriverebbe da “mal aria”, ossia “cattiva aria”, con le sue endemie ed epidemie, con i suoi tempi di esarcebazione alternati a periodi di attenuazione, è un autentica emergenza sanitaria per tutte le nazioni, insidiando salute e vita. Per capire la portata del morbo, è doveroso dire che alcuni storici di epidemiologia ritengono che ad essa sia dovuta, in gran parte, la decadnza dell’antica civiltà ellenica e dell’impero romano, oltre che di altre civiltà orientali. L’esistenza della malaria è provata in Grecia e Asia Minore, parecchi secoli avanti l’Era volgare, con le opere di Ippocrate.  Nei Libri delle epidemie, in particolare nel I e nel III, sono descritti vari tipi di febbri intermittanti da malaria.

Celso, cui si deve il primo libro di medicina scritto in purissima lingua latina e in seguito Claudio Galeno, medico dell’imperatore Marco Aurelio, le cui opere di medicina furono il testo di tutte le scuole mediche fino al termine del Medioevo, trattano delle febbri intermittenti in Roma con maggiore esperienza clinica. Lo stesso Orazio si ritirava nella sua villetta, fra i monti della Sabina, nella stagione autunnale, quando in Roma dominavano le febbri. Catone l’Antico, Varrone, Columella ed altri, invece, erano convinti che i luoghi paludosi fossero dannosi alla salute umana per i miasmi che emanavano, per gli animaletti invisibili che penetravano nell’organismo e per gli insetti che ne erano generati. Per secoli la malaria ha infierito su vaste aree del nostro territoriom condannandole a limitazioni dello sfruttamento agricolo e a gravissimi ritardi nello sviluppo economico. E’ per questi motivi che in Italia la lotta alla malaria ha una lunghissima tradizione, forse discendente dalle opere di bonifica condotte da antichi Greci, Etruschi e Romani.

In epoca post-unitaria, tale morbo rappresentò il più grande problema di sanità pubblica d’Italia, con l’avvio di iniziative di distribuzione gratuita delle pastiglie di chinino ad abitanti e lavoratori vdelle plaghe malariche. Si parlava, allora, di “Chinino di Stato”poiché con una legge del 1901 era stato istituito il monopolio statale sulla produzione e sul commercio di tale farmaco.Un ruolo chiave nel superamento della teoria dell’aria cattiva come causa di diffusione del morbo e della teoria tellurica (la malaria era provocata da minutissimi microrganismi emessi dalle paludi) si deve a Giovanni Battista Grassi, zoologo lombardo dell’Università di Pavia, che scoprì il vettore (le zanzare) e le modalità con cui il Plasmodio infetta l’uomo. Ma a vincere il Premio Nobel per la Medicina nel 1902 fu Ronald Ross. Nel 1898 a Calcutta, nella “stagione strana” (quella in cui non si verificano casi di malattia nell’uomo) si dedicò allo studio della malaria aviaria, studiando, appunto, la malaria negli uccelli, tanto da scoprire che l’agente causale era trasmesso dalla zanzara della specie Culex pipiens.

Ricostruì così il ciclo vitale del parassita Plasmodium, compreso lo sviluppo nell’intestino e nelle ghiandole salivari della zanzara, scoprendo che quest’ultima poteva trasmettere la malattia dagli uccelli infetti a quelli sani e avanzando l’ipotesi che la stessa fosse responsabile dell’infezione nell’uomo. Grassi rappresentò una punta di diamante nello studio della malaria. Tra i grandi nomi: Golgi, Celli, Marchiafava, Bignami, Bastianelli, Messea, Missiroli, Coluzzi.Dopo la prima guerra mondiale, in cui il morbo si esacerbò, grazie alle opere di bonifica integrale del regime fascista, normate dalla legge Serpieri, il tasso di mortalità della malaria si ridusse notevolmente per poi riacutizzarsi durante la seconda guerra. Ricordiamo che i Teschii in ritirata sabotarono le idrovore e allagarono intenzionalmente le zone di bonifica dell’Agro-Pontino per rallentare l’avanzata degli Alleati.

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