Salute, la ricerca: “Troppo sale è deleterio per le malattie autoimmuni”

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Alimentarsi con troppo sale è un’abitudine deleteria per il nostro organismo, e soprattutto per chi soffre di malattie autoimmuni: il sale, infatti, è il responsabile di un effetto pro-infiammatorio nelle cellule del sistema immunitario di pazienti con artrite reumatoide e lupus eritematoso sistemico. E’ quanto emerge da uno studio condotto dal gruppo di ricerca diretto da Guido Valesini, reumatologo dell’università La Sapienza e direttore della Uoc di Reumatologia del policlinico Umberto I di Roma. Il team si è basato su due studi che hanno dimostrato come, in modelli animali, il consumo di modeste quantità di sale favorisca l’insorgenza di malattie autoimmuni attraverso l’attivazione di alcune cellule, i linfociti T helper 17, dotate di elevata attività infiammatoria.

Partendo da questi presupposti, lo studio ha esaminato per la prima volta gli effetti biologici del sale nei pazienti con malattie autoimmuni, valutando sia i linfociti T helper 17 che i linfociti Treg (regolatori), che contrastano l’azione pro-infiammatoria dei primi. Per 5 settimane i ricercatori hanno modulato l’introito salino con la dieta, in modo tale da sottoporre i pazienti a una dieta a basso contenuto di sodio per le prime 3 settimane, seguita nelle ultime 2 da una normosodica (secondo le indicazioni dell’Oms, non più di 5 gr di sale al giorno). L’obiettivo – osservano gli esperti – era quindi quello di capire se i due differenti regimi dietetici potessero influire sul numero dei linfociti T helper 17 e Treg.

L’aderenza alla dieta era un prerequisito irrinunciabile per ottenere risultati credibili – spiega Valesini – Pertanto, abbiamo applicato la metodica a oggi ritenuta più attendibile per valutare l’introito salino, cioè la misurazione dell’escrezione di sodio nelle urine raccolte nell’arco delle 24 ore. Considerando che 1 grammo di sale contiene 17 mEq di sodio, l’escrezione di sodio nelle 24 ore dovrebbe essere inferiore a 85 mEq in regime di dieta normosodica”. La metodica – sottolineano i ricercatori – ha consentito di identificare 14 pazienti con artrite reumatoide e 15 con lupus eritematoso sistemico che avevano aderito pienamente alla dieta: solo in questi sono stati valutati i linfociti T helper 17 e T regolatori prima dell’inizio della dieta, e poi ancora dopo 3 e 5 settimane. I risultati ottenuti, dunque, hanno confermato l’intuizione iniziale: in tutti i pazienti è stata osservata una riduzione della frequenza dei linfociti T helper 17 dopo le prime 3 settimane di dieta a basso contenuto di sale ed un successivo aumento alla fine dello studio, dopo le 2 settimane in cui si aumentava l’introito salino, seppure entro i limiti di un regime normosodico.

Le cellule T regolatorie, caratterizzate da una attività anti-infiammatoria, mostravano invece un comportamento opposto: aumentavano nelle prime 3 settimane per ridursi nelle ultime 2. Al termine delle 5 settimane dello studio – evidenziano gli esperti – è stata osservata anche una riduzione, rispetto al basale, dei livelli di alcune molecole note per la capacità di amplificare la risposta infiammatoria nei pazienti con malattie autoimmuni. “I risultati del nostro studio – sottolinea Valesini – suggeriscono che l’adozione di uno stile di vita associato a una dieta a basso contenuto di sale possa contribuire a spegnere la risposta infiammatoria nei pazienti con malattie autoimmuni”. L’eccesso di sale si configura quindi come un fattore di rischio modificabile nella gestione di queste patologie. “E’ allarmante – conclude il reumatologo – che i livelli relativi all’escrezione di sodio con le urine riscontrati prima dell’inizio dei due regimi dietetici fossero di gran lunga superiori al limite di 85 mEq”. Una riflessione, concludono i ricercatori, che si traduce in un monito a modificare lo stile di vita, e in particolare la condotta alimentare.

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