Terremoto, il racconto di un infermiere: “Amatrice sembrava Aleppo bombardata”

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Il boato, il pianto di una donna, i crolli e la scena apocalittica di una cittadina del Lazio, Amatrice che sembrava Aleppo bombardata. E’ il racconto all’Adnkronos di un infermiere del 118 che quel 24 agosto di un anno e un mese fa ha vissuto in prima persona il tremore della terra e i soccorsi. E’ trascorso un anno ma i ricordi sono vivi e tangibili.

“Mia moglie ed io, all’arrivo della prima scossa abbiamo, per istinto, cercato riparo sotto il letto – ha raccontato Stefano, infermiere del 118 di Amatrice – e la fortuna è stata che i nostri figli non erano in casa, ma erano dai nonni a Rieti”.Dal terremoto dell’Aquila del 2009 – continua Stefano – ho l’abitudine di tenere una torcia sul comodino e con la luce della torcia quando la terra ha smesso di tremare, ci siamo vestiti e siamo usciti in strada. Siamo corsi dai nostri vicini che avevano le porte bloccate e le abbiamo sfondate per farli uscire”.

Avevo nella mia auto tutta l’attrezzatura per il soccorso – ha continuato a raccontare Stefano – dagli scarponi al casco a tutto il materiale sanitario che avevo caricato in macchina la sera prima. E da casa, accompagnato dai carabinieri, sono andato in centro al paese e ci siamo trovati davanti ad una scena apocalittica”. “L’impressione? Quella dei bombardamenti di Aleppo che si vedono in televisione con le persone che camminano coperte di polvere o sangue ed in fondo – visibilmente commosso prosegue Stefano – è quello che è successo: l’unica differenza che le bombe non sono arrivate dall’alto ma dal basso. Terribile”.

Di soccorsi e di interventi come infermiere del 118 Stefano ne ha fatti tanti, ma questa volta è diverso, molto diverso, molto più difficile: “la differenza è che qui ci conosciamo tutti e gli interventi ed i soccorsi sono umanamente difficili – spiega trattenendo a fatica le lacrime – quindi è necessario fare forza su se stessi e creare una schermo che ti permetta di lavorare e soprattutto ti permetta di fare delle scelte: si devono mettere da parte le emozioni e operare in maniera razionale perché si tratta di una maxiemergenza. Bisogna fare delle scelte, delle valutazioni che alle persone, ai parenti delle vittime, agli amici possono sembrare cattive oppure possono sembrare scelte da paurosi ma non lo sono affatto”. “Ti chiamano dicendoti che lì sotto c’è lo zio, il nonno, un figlio e sono persone che conosci – continua ancora Stefano – e devi fare una scelta perché sai che quella persona è già morta, o non c’è più nulla da fare e quindi devi passare oltre: è devastante”.

“Il boato di quella notte, il pianto di mia moglie e le urla della gente, dei miei compaesani – conclude Stefano – a distanza di un anno risuonano ancora nelle mie orecchie e le immagini di distruzione le ho ancora davanti agli occhi. Ma ciò che non posso proprio scordare sono i bambini: ne ho estratti e curati tanti. E non possono dimenticare mio figlio che mi chiamava al telefono e mi diceva ‘papà per favore salva quel bambino, è mio amichetto e lui il papà non ce l’ha più’, ma purtroppo ci sono bambini che non ce l’anno fatta”.

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