“L’Italia è molto indietro rispetto agli altri Paesi nella donazione degli organi non per la normativa, perché quella in vigore è analoga a tutti gli altri Paesi, ma per la cultura, purtroppo non è abbastanza diffusa. Oggi sarebbe possibile inserire già nella carta d’identità il consenso alla donazione, ma lo sanno in pochi, non c’è un’informazione capillare“. Lo sottolinea all’AdnKronos Salute Silvia Ranocchiari, presidente di Officium Lazio e membro della Lega italiana fibrosi cistica (Lifc) in occasione della presentazione del libro ‘Vivere’ di Ugo Bertotti. Un volume che affronta il difficile tema della donazione, mettendo in luce la storia di un dono che trasforma il dolore in speranza per altre persone, grazie al trapianto di organi.
‘Vivere’ racconta la vicenda di Selma, un’infermiera palestinese che durante la traversata dalla Libia all’Italia batte la testa sul barcone e al suo arrivo viene dichiarata in morte cerebrale. I suoi organi vengono donati a tre persone, due siciliani e una donna calabrese che hanno avuto così una seconda possibilità.
Raccontare chi era Selma “è stata un’esperienza molto bella dal punto di vista personale – ha spiegato l’autore durante ‘Sa@lute 2017’, terza edizione del Forum sull’innovazione nella salute, in corso a Roma – perché ho vissuto la storia in prima persona attraverso il racconto di altri che hanno affrontato il momento della donazione“.
Una vicenda narrata attraverso il genere della graphic novel. “Con i fumetti trovare un respiro, una metrica o un passo per narrare una storia di questo genere non è stato semplice perché bisogna mantenere sempre alto il tenore narrativo e renderlo gradevole e vivace. Dall’altro lato, c’è l’esigenza – continua Bertotti – di prestare molta attenzione a quello che si dice perché si sta parlando di fatti realmente accaduti“. A curare la postfazione del libro Bruno Gridelli, ex direttore dell’Ismett, l’Istituto di alta specializzazione per i trapianti e terapie di Palermo.
Parlando di donazioni di organi, Ranocchiari ha spiegato che tra i più difficili da reperire “c’è sicuramente il polmone perché si deteriora velocemente. Adesso però c’è una nuova tecnologia del ricondizionamento polmonare che permette di recuperarli, facendo una sorta di pulizia che consente una conservazione più prolungata, altrimenti andrebbero buttati. Questo ci permette di avere qualche organo in più. Alcuni centri italiani, come l’Ismett e il Policlino di Milano, già utilizzano questa tecnologia“.