Tumori: anticorpo dimezza la mortalità per sarcoma, svolta dopo 40 anni

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Ci sono voluti 40 anni perché si accendesse una nuova speranza per i pazienti colpiti da sarcomi dei tessuti molli in fase avanzata, un tumore raro, dalle mille facce, difficile da stanare. Anni in attesa di nuove opportunità di cura, anni di ricerca. E una svolta è arrivata. Anche in Italia è stato appena approvato un anticorpo monoclonale ricombinante totalmente umano, olaratumab, che in combinazione con doxorubicina sarà una nuova terapia di prima linea per malati che spesso “si sentono invisibili”, come racconta Ornella Gonzato, presidente di un’associazione pazienti, l’Associazione Paola per i tumori muscolo-scheletrici onlus, oggi durante un incontro promosso da Eli Lilly nel capoluogo lombardo.
In Italia si stima siano oltre 3.500 i nuovi casi l’anno, circa 23 mila gli europei colpiti ogni anno da un cancro che origina dal tessuto connettivo e può interessare ossa, cartilagini, nervi, vasi sanguigni e tessuti sottocutanei. Una diagnosi corretta e tempestiva, così come l’accesso ai trattamenti appropriati, sono una sfida continua. Per far sì che l’anticorpo olaratumab fosse messo a disposizione di pazienti che, nelle forme più avanzate, hanno una scarsa speranza di sopravvivenza a 5 anni con le terapie finora disponibili, è stato ‘messo il turbo’. Una spinta legata ai risultati ottenuti nello studio di fase II che ha portato all’approvazione del farmaco. Il trial ha mostrato che è possibile una riduzione del 54% della mortalità e un prolungamento della sopravvivenza dell’80%.
Su questa base l’agenzia europea del farmaco Ema ha dato il via libera in forma accelerata all’immissione in commercio della molecola, in considerazione sia della sua valenza clinica che della rarità della patologia e dell’assenza da decenni di nuove alternative terapeutiche. “Non è comune osservare un vantaggio così importante in termini di sopravvivenza nella terapia medica dei sarcomi dei tessuti molli dell’adulto“, osserva Silvia Stacchiotti, oncologa medica dell’Istituto nazionale tumori (Int) di Milano.
Olaratumab, chiarisce Stacchiotti, “interferisce con meccanismi molecolari della cellula tumorale“, cruciali per lo sviluppo del tumore e per la proliferazione, differenziazione e sopravvivenza della cellula tumorale, “riducendo le possibilità di progressione della malattia“. Lo studio Jgdg, sperimentazione clinica di fase II, spiega l’esperta, “è stato condotto in 17 centri degli Usa su pazienti in fase avanzata o metastatica” e ha mostrato che “l’associazione olaratumab con doxorubicina ha aumentato di circa un anno la sopravvivenza nella metà dei malati così trattati rispetto a chi aveva ricevuto la sola doxorubicina“.
Questo, “associato alla buona tollerabilità del farmaco, ha configurato un profilo rischio-beneficio positivo e ha portato” il comitato tecnico “Chmp dell’Ema a valutare olaratumab con procedura accelerata, raccomandando un’approvazione condizionata per fornire un accesso anticipato al farmaco, pur in attesa dei risultati di una sperimentazione di conferma di fase 3. Di fronte dunque c’è ancora strada da percorrere, anche perché si possa arrivare a identificare al meglio i pazienti che hanno probabilità di risposta più alta“. La sperimentazione clinica di fase III (studio Jgdj) è già in corso su circa 500 pazienti con sarcoma dei tessuti molli in fase localmente avanzata o metastatica. “Clinicamente – riflette Stacchiotti – l’introduzione di olaratumab, classificato come farmaco orfano dall’Ema, ha un impatto sulla sopravvivenza nella fase avanzata di malattia tutt’altro che limitato“.
I sarcomi, evidenzia, “sono rari ed eterogenei, se ne contano 70 diversi tipi, e questo costituisce una difficoltà maggiore per gli studi clinici, proprio a causa del basso numero di casi per ciascun tipo di sottogruppo“. Il tempo per questi pazienti è “un fattore critico“, osserva Gonzato. “Nel nostro Paese – le fa eco Stacchiotti – non esistono meccanismi di semplificazione dell’accesso ai farmaci orfani per i tumori rari. L’arrivo in clinica di olaratumab è anche il risultato dei molti sforzi condotti dagli oncologi assieme all’agenzia italiana del farmaco Aifa per ridurre tempi e complessità delle procedure necessarie per introdurre nuovi farmaci, garantendo un accesso più rapido a trattamenti efficaci e diminuendo le disparità di accesso alle terapie, tuttora molto presenti“. Una “concreta risposta al bisogno di pazienti a forte rischio di discriminazione“, conclude Gonzato.

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