“Gli articoli in questione costituiscono legittima espressione del diritto di critica e di manifestazione del pensiero”. Con questa motivazione il Tribunale di Roma, prima sezione civile, ha rigettato il ricorso presentato dagli industriali della pasta, dando ragione a GranoSalus, l’associazione che raggruppa consumatori di tutta Italia e produttori di GRANO duro del Mezzogiorno, e a I Nuovi Vespri in un nuovo capitolo di quella che è stata ormai ribattezzata la ‘battaglia del GRANO’. L’Aidepi (Associazione delle industrie del dolce e della pasta italiane), la Barilla G&R Fratelli spa, i Fratelli De Cecco di Filippo Fara S. Martino spa, la F. Divella spa, La Molisana spa e il pastificio Lucio Garofalo avevano chiesto l’intervento della magistratura per ottenere la rimozione di alcuni articoli dai siti delle due associazioni. Lo scorso giugno il Tribunale di Roma ha respinto il loro ricorso, ma gli industriali della pasta ne hanno presentato uno nuovo. Anche questa volta, però, i giudici romani hanno dato loro torto. Al centro dello scontro giudiziario ci sono alcuni articoli apparsi sui siti di GranoSalus e I Vespri che riportavano le analisi condotte su otto marche di pasta prodotte in Italia. Analisi dalle quali è emersa la presenza nei campioni di contaminanti del GRANO, anche se nei limiti previsti dalla legislazione dell’Unione europea.
Secondo i colossi dell’industria della pasta, però, le analisi su cui si basano gli articoli sotto accusa “non erano state effettuate con gli accorgimenti e le regole che ne avrebbero potuto garantire l’attendibilità”. Inoltre anche le rettifiche apportate, “con l’introduzione della formula dubitativa in ordine all’attività di miscelazione con GRANO estero contenente contaminanti nocivi superiori ai limiti di legge riguardavano solo uno dei fatti lesivi lamentati col ricorso, quello riguardante la violazione delle norme che prevedono il divieto di miscelazione con prodotti contenenti contaminanti superiori ai limiti di legge, e comunque la formula dubitativa non faceva venir meno la portata lesiva, insinuando il dubbio di una condotta contra legem delle ricorrenti”.
Secondo il Tribunale di Roma, invece, “le analisi sono state effettuate da primario laboratorio, con metodo scientifico”. Inoltre sui temi affrontati negli articoli in questione vi è “un ampio dibattito nel mondo scientifico e pubblico in generale”. Pertanto, scrivono i giudici nell’ordinanza “non vi è dubbio che la divulgazione dei risultati della ricerca costituiscano legittima espressione del diritto di libertà di manifestazione del pensiero, sancito dall’art 21 della costituzione e di libertà della scienza garantita dall’art 33 della Costituzione, senza limiti e condizioni. Tanto più che, trattandosi di temi di tale delicatezza e rilevanza per la salute pubblica, nessuna censura sarebbe ammissibile. Né sono stati superati i limiti della continenza espositiva”.
“A fronte di ciò – scrivono ancora i giudici -, le reclamanti non hanno prodotto delle contro-analisi né sui lotti indicati ed analizzati (dei quali esse avrebbero l’obbligo di conservare un campione), ma nemmeno su altri lotti di pasta, il che induce verosimilmente a ritenere che effettivamente nella pasta prodotta dalle società reclamanti fossero presenti i contaminanti indicati nell’articolo. Così come – si legge ancora nell’ordinanza – legittimo esercizio del proprio pensiero critico è il sospetto che la presenza di questi contaminanti possa essere dovuta ad una prassi di miscelazione vietata”. Da qui il rigetto del ricorso e la condanna al pagamento delle spese legali.