Uno studio relativo alle interazioni tra lupi, cinghiali e cervi dell’Appennino settentrionale, pubblicato sulla rivista American Naturalist, coordinato dall’Istituto dei sistemi complessi (Isc) del Cnr e svolto in collaborazione con l’Università di Firenze, ha dimostrato che un numero significativo delle prede uccise dai lupi (53%) è parzialmente utilizzato dai cinghiali. Questa necrofagia è probabilmente collegata al fenomeno del cleptoparassitismo (dal greco kleptçs, ladro): i cinghiali rubano ai lupi le carcasse delle loro prede.
“Attraverso modelli matematici sviluppati da Massimo Materassi dell’Isc-Cnr e Giacomo Innocenti dell’Università di Firenze, abbiamo dimostrato che la presenza di predatori facilita lo sviluppo del cinghiale quando nell’ambiente siano presenti altre specie di ungulati o domestici selvatici come cervi, caprioli e daini, ormai molto comuni sulle nostre montagne”, spiega Stefano Focardi, ricercatore Isc-Cnr e coordinatore della ricerca. “Questo comportamento garantisce ai cinghiali una maggiore quantità di risorse alimentari e ne aumenta il potenziale riproduttivo”.
A favorire lo sviluppo di questi comportamenti – spiega Cecilia Migali sull’Almanacco della Scienza del CNR – è l’aumentata biodiversità delle nostre foreste causata dall’abbandono delle coltivazioni durante gli anni ’50 e ’60, che ha permesso la ricomparsa di molte specie di piante e animali. “Un aumento del numero di specie, infatti, accresce anche la produttività degli ecosistemi, che in questo caso si traduce in una crescita della popolazione di cinghiali: un ciclo che si autoalimenta, ancorché con un impatto negativo sulla produzione agricola in ampie sezioni dell’Appennino settentrionale”, prosegue il ricercatore. “Duccio Berzi della cooperativa Ischetus, che ha raccolto i dati di campo utilizzati nella ricerca, ha monitorato il lupo intorno a Firenze per 25 anni, rilevando che a fronte di un aumento significativo dei branchi di lupi non corrispondeva, come poteva invece presumersi, un significativo decremento del numero di cinghiali”.
Lo studio fornisce inoltre strumenti utili alla progettazione di interventi di gestione e controllo del territorio: “I modelli matematici messi a punto per questa ricerca rappresentano un progresso nella descrizione delle interazioni tra le specie e potranno aiutare le istituzioni a prevedere lo sviluppo delle popolazioni dei grandi mammiferi, al fine di migliorarne le politiche gestionali”, conclude Focardi. “Bisogna sempre considerare che le diverse componenti di un ecosistema sono in un equilibrio dinamico molto complesso e che azioni esercitate su una specie possono avere ripercussioni inaspettate anche su organismi ecologicamente molto distanti”.