Haumea, uno dei quattro pianeti cosiddetti ‘nani’ che si trovano nelle regioni più esterne e remote del sistema Solare, oltre l’orbita di Nettuno, possiede un anello di polveri che lo circonda. A scoprire questa sorprendente proprietà è stato un team guidato da astronomi dell’Instituto de Astrofísica de Andalucía e ha cui hanno partecipato anche ricercatori dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) grazie a una campagna osservativa che ha sfruttato le osservazioni di numerosi telescopi da tutto il mondo. È la prima volta che viene individuate una struttura ad anello attorno a un oggetto transnettuniano, mentre sono ben noti gli anelli attorno ai pianeti giganti del Sistema solare e anche, più recentemente, attorno a due asteroidi della categoria dei Centauri. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista Nature.
Poco sappiamo ad oggi della storia di formazione ed evoluzione, oltre alle caratteristiche fisiche, degli oggetti transettuniani dei quali insieme ad Haumea fanno parte anche Plutone, Eris e Makemake. Proprio Haumea è ad oggi forse il meno conosciuto tra tutti. Dalla sua controversa scoperta, avvenuta in modo indipendente nel 2004 da parte di due team di ricerca, uno spagnolo e l’altro statunitense, sappiamo che questo oggetto possiede una peculiare forma allungata, oltre che due minuscole lune, battezzate Hi’iaka e Namaka.
«L’efficacia straordinaria di queste osservazioni viene dalla precisione con cui si conosce il momento dell’occultazione. Il tempo dell’occultazione viene calcolato con i dati sempre più’ precisi che arrivano dal satellite Gaia e questo permette di mobilitare le risorse osservative per il breve tempo del fenomeno con precisione assoluta» dice Giuseppe Leto, dell’INAF di Catania, nel team che ha realizzato lo studio.
Ed è proprio grazie a questo metodo che lo scorso 21 gennaio, quando ha avuto un’occultazione stellare di Haumea particolarmente favorevole e ben visibile dall’Europa che il “papà” spagnolo di Haumea, José Luis Ortiz, ha coordinato in modo efficiente una rete di osservatori, sia professionali che amatoriali, tra cui il telescopio Copernico da 1,82 metri dell’INAF ad Asiago.
L’elevata qualità dei dati ottenuti da Asiago, assieme a quelli di altri undici telescopi, hanno permesso in primo luogo di stabilire che Haumea ha la forma di un cosiddetto ‘elissoide a tre assi’, una specie di gigantesco pallone da rugby, e che è molto più grande ed allungato rispetto a quanto ritenuto in precedenza. Essendo poi nota la sua massa, grazie alla presenza delle due lune, si è potuta fare una stima accurata anche della densità del pianeta nano e dell’albedo della sua superficie, ovvero del suo potere riflettente. Entrambi I valori si sono rivelati ben inferiori alle precedenti stime e molto più simili ai corrispondenti valori di Plutone. La repentina diminuzione della luminosità all’inizio e alla fine dell’occultazione ha permesso anche di stabilire un limite alla presenza di un’atmosfera che, seppur presente, è estremamente più tenue di quella di Plutone, misurata dalla sonda New Horizons.
Sempre Giuseppe Leto aggiunge «La straordinarietà di questo risultato è che con semplici curve fotometriche ottenute contemporaneamente da 12 siti posti in diverse posizioni geografiche, effettuate durante un’occultazione, si sono potuti determinare con precisione l’esistenza di un anello, di cui non si aveva conoscenza prima, e migliorare le informazioni sulle proprietà’ dinamiche e geometriche di Haumea».
Il risultato più interessante dello studio è stato infatti qualcosa di assolutamente inatteso. Più di un osservatorio, tra i quali Asiago, ha mostrato un’anomalia nei minuti che precedevano e seguivano l’occultazione: come se un altro corpo, non perfettamente opaco, avesse occultato la stella subito prima e subito dopo l’evento principale. Anche in questo caso il confronto tra i diversi dati ha permesso di risalire alla causa: Haumea è circondata da un ‘anello’ denso e sottile che orbita a circa 2300 chilometri dalla sua superficie e spesso solo 70 chilometri.
«È una scoperta sensazionale dal punto di vista scientifico, perché mette in luce caratteristiche di questi oggetti – come la forma, o la presenza di anelli – che costituiscono tasselli di un puzzle nella storia evolutiva del nostro Sistema Solare» dice Valerio Nascimbeni, ricercatore dell’Università di Padova e associato INAF, tra gli autori dello studio «ma è anche un risultato importante perché dimostra come, in un’epoca di “big science”, reti di piccoli telescopi coordinati in modo efficiente siano ancora in grado di competere e complementare il lavoro svolto da osservatori più grandi».