E’ un farmaco ‘low cost’, un betabloccante comunemente usato da anni come antipertensivo, al quale potrebbe ora essere affidata una nuova missione. Un team di scienziati italiani ha infatti scoperto che il propranololo potrebbe frenare la crescita di un aggressivo tumore della pelle, il melanoma. Il lato inedito di questo farmaco – che è tra l’altro valso nel 1988 il premio Nobel per la Medicina allo scienziato scozzese James W. Black che lo ha sviluppato a fine anni ’50 – è stato descritto in uno studio condotto dall’università di Firenze e dall’Azienda sanitaria Toscana Centro.
Gli autori del lavoro che si è guadagnato le pagine di ‘Jama Oncology’ hanno valutato l’efficacia clinica della terapia betabloccante in pazienti con melanoma per stabilire se il propranololo sia in grado di migliorare la sopravvivenza libera da progressione. E hanno visto che “il gruppo di pazienti che usava il farmaco aveva un rischio di progressione della malattia dell’80% inferiore”, spiega all’AdnKronos Salute il dermatologo Vincenzo De Giorgi, primo autore dello studio.
Tutto comincia da un’intuizione: “Avevamo già pubblicato in passato su riviste americane uno studio retrospettivo – racconta – Seguendo pazienti con melanoma ci eravamo accorti che in alcuni la neoplasia restava in uno stato dormiente, non progrediva. Questi malati, chiamati ‘long survivor’, non passavano allo stadio metastatico e facendo dei controlli abbiamo visto che tutti assumevano betabloccanti per diversi motivi, fra cui l’ipertensione. Abbiamo deciso così di approfondire e, nello studio appena pubblicato, abbiamo somministrato sotto la nostra responsabilità con uso ‘off label’ il propranololo a un gruppo di pazienti con diagnosi di melanoma a rischio di progressione. Dopo 3 anni di osservazione li abbiamo valutati rispetto a un gruppo di controllo e abbiamo rilevato una riduzione statisticamente notevole del rischio di progressione”.
Il lavoro è stato condotto su 53 pazienti, età media 63 anni. Di questi, 19 sono entrati nel gruppo trattato con propranololo. Risultato: nel 41,2% dei malati che non avevano assunto il farmaco è stata osservata una progressione della malattia, contro il 15,8% di chi aveva invece preso il betabloccante. “E’ un risultato promettente – riflette De Giorgi – perché il farmaco costa pochi euro rispetto ai migliaia delle altre terapie e ha effetti collaterali praticamente nulli”.
E’ stato scelto proprio il propranololo perché “è un betabloccante non selettivo che va a coprire tutti i recettori”, chiarisce lo specialista. Ora l’attività scientifica prosegue in due direzioni: ricerca clinica per confermare i risultati su un numero di pazienti più ampio e ricerca di base per esplorare il meccanismo che porta all’effetto ottenuto col melanoma. Per quanto riguarda il primo aspetto, “fra qualche mese partirà un trial randomizzato in doppio cieco – annuncia De Giorgi – Sarà uno studio multicentrico in tutta Italia che coinvolgerà circa 400 pazienti, 200 trattati con propranololo e 200 con placebo”.
Per quanto riguarda invece gli approfondimenti sul farmaco, “le ipotesi sono due. La prima si lega a un già noto effetto anti-neovascolarizzazione del tumore. Il propranololo è infatti usato per il trattamento di emangiomi nei neonati, per ottenere una riduzione proprio della vascolarizzazione e crescita” di questo tumore vascolare benigno. “L’altra ipotesi in campo è che il propranololo vada a contrastare tutte quelle sostanze adrenergiche, tipo adrenalina e noradrenalina, che stimolano la crescita tumorale. In pratica è un antistress. Stiamo lavorando – conclude De Giorgi – a ricerche di base per valutare quali sono i recettori dentro le cellule del melanoma che interagiscono con il betabloccante, in modo da poter individuare anche se ci sono dei melanomi che rispondono più di altri alla terapia”.