Prima ancora che gli antiobitici fossero scoperti, esistevano gia’ batteri resistenti a questi farmaci dentro l’uomo. Lo ha rivelato l’analisi, pubblicata sulla rivista Genes, della flora intestinale di otto mummie, tre Inca e cinque di nobili aragonesi vissuti a Napoli tra il ‘400 e ‘500. Secondo i ricercatori, fra cui diversi italiani, una possibile spiegazione e’ nel fatto che nei luoghi in cui si conservavano i cereali si sviluppavano dei funghi che erano degli antibiotici naturali.
L’analisi delle mummie, tutte conservate in Italia, e’ stata divisa tra Italia e Stati Uniti. I ricercatori dell’universita’ di Pisa e Camerino hanno fatto l’autopsia, la parte diagnostica e le analisi istologiche, mentre nell’universita’ politecnica della California lo studio molecolare del Dna. L’analisi del microbioma, cioe’ degli organismi che compongono la flora intestinale, ha mostrato nelle mummie peruviane precolombiane “la presenza di geni batterici particolarmente resistenti agli antibiotici, anche a quelli attuali”, spiega Gino Fornaciari, professore di Paleopatologia all’universita’ di Pisa.
“Pensiamo che possa dipendere dal fatto che usavano conservare i cereali di cui si nutrivano, principalmente mais e quinoa, in dei silos in cui si sviluppavano dei funghi, che erano degli antibiotici naturali”. Di fatto era come se mangiassero cibo ‘integrato’ con gli antibiotici. “Lo stesso tipo di resistenza, anche se in forma minore, e’ stata rilevata anche nelle mummie dei nobili spagnoli”, continua Fornaciari. Anche in questo caso la causa e’ da rinvenire negli ambienti in cui venivano conservate le farine e il frumento di cui si nutrivano, anche se in forma minore rispetto agli Inca.
L’analisi della flora intestinale delle mummie ha permesso infatti di ricostruirne la dieta, che era piu’ a base di verdure negli Inca, e piu’ a base di carne, spesso bruciacchiata o affumicata, per i nobili, tra cui il duca Ferdinando Orsini. “Cio’ dimostra che le mutazioni genetiche sono avvenute naturalmente nei batteri e non sono legare necessariamente agli antibiotici”, conclude Fornaciari.