Nuove possibilità di curare la leucemia linfoblastica acuta di tipo T potrebbero aprirsi grazie ai risultati dello studio condotto dai ricercatori del Laboratorio di Oncoematologia Pediatrica dell’Istituto di Ricerca Pediatrica Città della Speranza e dell’Università di Padova, coordinati dal prof. Giuseppe Basso e dalla dott.ssa Benedetta Accordi, con la collaborazione del gruppo del dott. Stefano Indraccolo dell’Istituto Oncologico Veneto. Le importanti conclusioni della ricerca, durata circa due anni, sono state pubblicate a fine ottobre nella prestigiosa rivista di ematologia “Blood”.
I ricercatori (prima autrice è la dott.ssa Valentina Serafin) si sono concentrati su un particolare tipo di leucemia linfoblastica acuta, denominato T dal tipo di linfocita che viene colpito, e soprattutto su quei pazienti che tendono a resistere alla terapia cortisonica somministrata come da protocollo.
“Tramite esperimenti in vitro e in vivo – spiega la dott.ssa Accordi –, abbiamo analizzato il profilo fosfoproteomico di questi pazienti e osservato che vi è una proteina, detta LCK, particolarmente attiva. Inibendola con farmaci già in uso per altre malattie, abbiamo dimostrato di poter rendere i pazienti resistenti sensibili alla terapia con glucocordicoidi”.
“Nello specifico, il farmaco apparso più efficace in questo processo di inibizione della proteina è risultato il Dasatinib, giù in uso da anni per la cura di altre malattie – continua la biologa –. Ciò permetterebbe di pensare di poterlo adottare velocemente anche per la cura dei bambini affetti da LLA, in quanto richiederebbe minor sperimentazione”.
Il passo successivo a tale analisi sarà dunque quello di riuscire a portare tale terapia al letto di quei pazienti che resistono agli attuali trattamenti.
“Lo studio evidenzia come grazie alle collaborazioni si riesca a fare ricerca di altissimo livello – conclude il prof. Giuseppe Basso, presidente dell’IRP e coautore della ricerca – Siamo di fronte è un importante risvolto clinico. Nessuno, infatti, aveva mai compreso il perché di questa resistenza alla terapia cortisonica e come riuscire a superarla. L’auspicio, ora, è che questi risultati possano entrare quanto prima nell’uso clinico”.