“Seguiamo mille persone con scompenso cardiaco all’ospedale San Paolo di Milano. Seguirli vuol dire non solo la classica visita ambulatoriale, ma anche cercare di fornire loro delle strumentazioni a domicilio. E’ un meccanismo semplice che aiuta i nostri pazienti a stare in forma e ad essere assistiti bene“. Per Stefano Carugo, docente di Cardiologia all’università degli Studi del capoluogo lombardo e direttore dell’Uo di cardiologia dell’ospedale San Paolo, non spezzare il filo che lega i camici bianchi ai malati cronici, con l’aiuto della tecnologia, è una delle vie da seguire per costruire un salvagente intorno ai cuori ‘stanchi’.
Un punto evidenziato all’AdnKronos Salute da più esperti, in occasione di un incontro promosso da Aisc (Associazione italiana scompensati cardiaci) in Regione Lombardia con il contributo non condizionato di Novartis e Medtronic, insieme ad altre priorità: fare rete fra gli specialisti e col territorio, garantire informazioni costantemente aggiornate, e accesso a nuovi trattamenti per chi può beneficiarne. In Italia lo scompenso cardiaco causa circa 190 mila ricoveri l’anno ed “è la più frequente causa di ospedalizzazione del paziente con età superiore ai 75 anni“, aggiunge Fabrizio Oliva, direttore della Struttura complessa di Cardiologia 1-Emodinamica all’ospedale Niguarda di Milano e presidente di Anmco (Associazione nazionale medici cardiologi ospedalieri) Lombardia.
“E’ un dato importante – evidenzia – soprattutto perché l’ospedalizzazione pesa sulla prognosi. C’è un danno che può essere sia cardiaco sia extracardiaco, a carico di altri apparati e organi come il rene o il fegato. E questo incide in termini di sopravvivenza. Il paziente che viene ospedalizzato ha una prognosi peggiore di quello che riusciamo a tenere in ambulatorio. Le ospedalizzazioni lasciano il segno ed è un aspetto sul quale stiamo cercando di impegnarci molto“. Carugo parla della sperimentazione “partita con i pazienti scompensati ormai da un paio d’anni” al San Paolo. “Abbiamo pensato a un servizio di telemedicina molto semplice: forniamo la bilancia e i pazienti si pesano perché più peso, più acqua, equivale a più scompenso. Li chiamiamo periodicamente, li dotiamo di un elettrocardiogramma. Offriamo dei servizi per cui monitorano i propri parametri a domicilio. Se qualcosa non va ci chiamano, e noi o li vediamo in ambulatorio o li ricoveriamo“.
Le tecnologie amiche sono diverse, continua Carugo. “Ci sono anche quelle impiantabili per chi ha già un defibrillatore o un pacemaker, tecnologie per permettere automaticamente alla macchina di capire se la persona sta accumulando acqua e di mandare un segnale in ospedale, permettendoci di chiamare in tempo il paziente e di farlo venire in reparto. Credo infine che una visita fatta bene sia il cardine di qualsiasi tipo di gestione dei pazienti scompensati“. La parola chiave è presa in carico, sottolinea.
Per quanto riguarda ad esempio il nuovo modello lombardo pensato per i malati cronici, “lo scompenso cardiaco è proprio una delle patologie, forse la patologia per eccellenza della presa in carico, dove il legame fra ospedale e territorio deve esserci – riflette – Adesso questo aspetto non è così fine, ma credo che la presa in carico per questa patologia dia ottimi risultati, anche perché ricordo che ogni nuova ospedalizzazione è un pezzo di vita in meno per il paziente scompensato. Quindi ben venga questo modello per la cronicità“. Al San Paolo, aggiunge Carugo, “stiamo cercando di ampliare il sistema di refertazione che possiamo definire ‘a domicilio’ anche con dei nuovi modelli di gestione in base ai quali, se il paziente ha bisogno per esempio anche del nefrologo o del pneumologo, lo facciamo visitare subito quando viene in ospedale per l’ambulatorio scompenso. Tempo risparmiato, mesi di vita risparmiati”.
Sul fronte riospedalizzazioni ci sono vari interventi possibili. “Innanzitutto – elenca Oliva – ottimizzare le terapie che abbiamo a disposizione e che hanno dimostrato proprio in base all’evidence-based medicine di essere dei trattamenti che nei trial hanno migliorato la sopravvivenza, hanno ridotto le riospedalizzazioni e migliorato la qualità della vita. E sicuramente sono quelle da applicare“.
“Ci sono nuovi trattamenti, soprattutto ultimamente farmacologici – continua Oliva – che hanno dimostrato di poter spostare la prognosi e di farlo in persone che a volte entrano ed escono dal nostro ambulatorio più o meno con la stessa terapia, quindi dobbiamo attenzionare questo tipo di pazienti in futuro“.
Per lo specialista “è necessario riuscire a lavorare insieme – tutti gli attori coinvolti – nel bene del paziente. Un modello multidisciplinare è quello da seguire. E’ importante coordinarsi tra professionisti, nel senso che le società scientifiche hanno scritto vari tipi di documenti e sono disponibili anche quelli italiani come ‘position paper’. Bisogna applicarli e possono essere declinati in modo diverso a seconda delle realtà, in una città metropolitana piuttosto che in una zona rurale o in altre situazioni“.
Oggi “quello che manca è il coordinamento tra ospedale e territorio“. Sicuramente, conclude l’esperto, “il piano cronicità è un punto estremamente rilevante. Come Anmco, insieme a Sic (Società italiana di cardiologia) abbiamo scritto un documento sulla rete, che si lega perfettamente“. Ed è in linea “anche con la nuova riforma che si appresta a partire in Lombardia. Una riforma che guarda molto avanti. Sarà una grossa sfida, però sicuramente ha senso perché potrebbe facilitare la continuità assistenziale. Una parola che noi spesso abbiamo citato in passato, ma che abbiamo fatto una grande fatica a riempire di contenuti“.