L’ospedale Papa Giovanni XIII di Bergamo ha annunciato “i primi 2 prelievi in Italia di polmoni, reni, fegato e tessuti dopo arresto cardiaco, cioè da donatori a cuore fermo”. Dalla struttura sottolineano come, nel nostro Paese, sia “la prima volta che da un donatore morto per arresto cardiaco si riescono a prelevare sia i polmoni che il binomio fegato-reni”.
Gli interventi di espianto sono stati eseguiti a distanza di 10 giorni l’uno dall’altro, su 2 donatori uomini – uno di 47 e uno di 59 anni – entrambi ricoverati nella Terapia intensiva neurochirurgica del ‘Papa Giovanni’ con lesioni gravissime al cervello, il cui quadro clinico è andato progressivamente peggiorando fino all’arresto cardiaco.
I prelievi – spiegano dall’Asst orobica – sono iniziati dopo i 20 minuti di elettrocardiogramma piatto previsti dalla legge italiana per accertare la morte per arresto cardiaco. Utilizzando l’Ecmo, la macchina che sostituisce la funzione di cuore e polmoni, è quindi cominciata la perfusione per conservare gli organi. La procedura, in gergo tecnico Dcd (Donation after Circulatory Death), è stata guidata da Mariangelo Cossolini, coordinatore al Prelievo e trapianto d’organo dell’azienda socio-sanitaria territoriale bergamasca, in collaborazione con gli operatori della Terapia intensiva neurochirurgia guidata da Francesco Ferri, e con l’Ecmo team diretto da Luca Lorini.
Per i prelievi di organi e cornee si sono alternate diverse équipe chirurgiche, sia del Papa Giovanni che di altri ospedali lombardi. Gli altri tessuti sono stati invece prelevati da gruppi delle banche regionali dei tessuti della Lombardia.
“Tecnicamente si è trattato di Dcd ‘controllati’, perché l’arresto cardiaco era l’esito prevedibile e si è verificato in ospedale – precisa Cossolini – I Dcd controllati sono più rari, ma anche più semplici da gestire, soprattutto per noi che applicavamo questa tecnica per la prima volta”.
La donazione a cuore fermo, ricordano dal Papa Giovanni XXIII, è una tecnica ancora poco usata in Italia dove vige “una legislazione più prudente, rispetto al resto dei Paesi europei, in tema di accertamento di morte con criteri cardiaci. In Italia, infatti, il periodo di assenza completa di attività cardiaca deve essere di almeno 20 minuti continuativi, mentre ne bastano dai 5 ai 10 negli altri Paesi Ue. Una norma rigorosa, la nostra, che aumenta però il rischio di un rapido deterioramento degli organi”.
Ecco perché, per evitare di danneggiarli, ‘scaduti’ i 20 minuti “si ricorre all’Ecmo e a speciali tecniche di riperfusione degli organi”. Nella Penisola “solo 14 organi sono stati effettivamente trapiantati con questa modalità di donazione lo scorso anno – proseguono gli esperti – e quella di Bergamo è la prima donazione che riesce a superare le difficoltà che finora avevano impedito di prelevare sia i polmoni che fegato-reni, rendendo necessario scegliere fra le due alternative”.
Ora, evidenzia Cossolini, “possiamo dire che la donazione a cuore fermo rappresenta anche nel nostro Paese una concreta speranza di poter ridurre sensibilmente il triste bilancio di circa 400 pazienti che ogni anno perdono la vita nell’attesa vana di un organo”. “Questi sono risultati ottenuti grazie alle professionalità e alle competenze maturate nel corso della nostra esperienza pluridecennale nel campo della donazione, del trapianto e dell’assistenza intensiva, anche con ricorso a tecniche complesse come l’Ecmp – commenta Carlo Nicora, direttore generale dell’Asst – Un grazie speciale va al Centro nazionale trapianti e alle famiglie dei donatori, che, capita l’estrema gravità delle condizioni cliniche dei loro cari, hanno espresso la volontà di non rendere vano quanto accaduto, ma di trasformare un destino beffardo in una opportunità per altri malati, in attesa di un organo per continuare a vivere”.