Due gruppi di astronomi guidati dall’Università Carnegie in California e dal Max Planck Institute for Astronomy in Germania hanno scoperto il buco nero più distante finora osservato: per arrivare sulla Terra, la luce del quasar ULAS J134208.10+092838.61 alimentato dal buco nero supermassiccio ha impiegato 13 miliardi di anni e ciò significa che potrebbe essersi formato 690 milioni di anni dopo il Big Bang, quando l’universo stava uscendo dalla cosiddetta “Era Oscura”. I ricercatori, tra cui anche Roberto Decarli dell’Istituto Nazionale di Astrofisica di Bologna, hanno effettuato la scoperta utilizzando diversi strumenti e telescopi: i Telescopi Magellano in Cile, le antenne del Noema Array (dell’Iram) in Francia e il radiotelescopio Very Large Array nel Nuovo Messico (Stati Uniti). Durante l’intensa campagna osservativa, i due gruppi – uno guidato da Eduardo Bañados del Carnegie Institution for Science, l’altro da Fabian Walter e Bram Venemans del Max Planck – hanno catturato la luce proveniente da questo quasar estremamente potente imparando qualcosa di nuovo sull’universo primordiale.
I quasar sono delle sorgenti energetiche che risiedono nel cuore delle galassie e sono generati dai buchi neri più massicci – in questo caso 800 milioni di volte la massa del Sole. La loro luce viene prodotta quando del materiale galattico, come gas o anche intere stelle, collassa all’interno del buco nero supermassiccio al centro di una galassia. Tale materia si raccoglie in un disco di accrescimento intorno al buco nero, raggiungendo temperature fino a qualche centinaio di migliaia di gradi centigradi prima di cadere infine nel buco nero stesso. Il quasar appena scoperto è talmente luminoso che brilla come 40 mila miliardi di stelle simili al Sole.
Il quasar appena scoperto aggiunge dei dati cruciali nello studio delle prime fasi della storia dell’universo: la sua luce mostra che una frazione significativa di idrogeno era ancora neutrale 690 milioni di anni dopo il Big Bang e questo porta gli esperti ad avvalorare modelli che prevedono che la reionizzazione (il passaggio dal periodo durante il quale l’universo era buio, composto solamente da nubi di elementi chimici elementari in balia delle forze gravitazionali, all’universo strutturato in complesse reti di galassie e nebulose di gas ionizzato intergalattico che possiamo osservare oggi) sia avvenuta relativamente tardi.
Decarli specifica: “La scoperta di un quasar così distante nel tempo offre una prospettiva inedita sull’universo giovane. Questo oggetto da solo ci regala importanti informazioni sulla formazione ed evoluzione dei primi buchi neri supermacci, delle prime galassie di grande massa, sull’arricchimento chimico del gas nelle galassie e sull’evoluzione del mezzo intergalattico verso la fine della reionizzazione”.
La distanza del quasar è determinata da quello che viene chiamato redshift, (letteralmente “spostamento verso il rosso”) che non è altro che l’allungamento della lunghezza d’onda della luce associata all’espansione dell’universo: più alto è il redshift, maggiore è la distanza, e più indietro gli astronomi guardano nel tempo quando osservano l’oggetto. Questo quasar ha un redshift di 7,54 (il record precedente, per i quasar, era di un redshift a 7,09). Di quasar così distanti ne sono previsti solo in un numero molto ridotto (da 20 a 100 esemplari).
Quasar giovani come ULAS J134208.10+092838.61 possono fornire preziose informazioni anche sull’evoluzione della galassia ospite. Registrando una massa di quasi un miliardo di masse solari, il buco nero che ha generato il quasar è relativamente massiccio. Spiegare come un buco nero di questo tipo si sia formato in così poco tempo è una sfida per i ricercatori.
“Raccogliere tutta questa materia in meno di 690 milioni di anni è una sfida se ci basiamo sulle attuali teorie di accrescimento dei buchi neri supermassicci”, spiega Bañados. E Venemans aggiunge che “i quasar sono tra gli oggetti celesti più luminosi e lontani conosciuti e sono quindi cruciali per comprendere l’universo primordiale”.
I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista Nature nell’articolo “An 800 million solar mass black hole in a significantly neutral universe at redshift 7.5”, di Eduardo Bañados (The Observatories of the Carnegie Institution for Science), […], Roberto Decarli (Max Planck Institut fur Astronomie, INAF – Osservatorio Astronomico di Bologna), et al.
Un secondo articolo è stato pubblicato su Astrophysical Journal Letters: “Copious amounts of dust and gas in a z=7.5 quasar host galaxy”, di Bram Venemans et al.