Colpire il metabolismo del tumore per contrastare la proteina mutante p53

MeteoWeb

Rigidità e durezza del tessuto tumorale, insieme ad alterazioni del metabolismo, sono formidabili alleati del cancro e dell’accumulo di uno dei principali fattori tumorali, la proteina p53 mutata. La scoperta, realizzata da ricercatori dell’università di Trieste e del Laboratorio nazionale Cib, apre nuove prospettive terapeutiche ed è pubblicata oggi dalla rivista scientifica internazionale ‘Nature Cell Biology’. Gli scienziati hanno dimostrato inoltre, in cellule isolate e animali di laboratorio, che agendo su questo aspetto del metabolismo della cellula tumorale, si riesce a colpire e destabilizzare la p53 mutata, a ristabilire le proprietà meccaniche del tessuto e a fermare il tumore. Ed è possibile farlo con farmaci già noti e in uso per altre malattie, come le statine.

I tumori – ricordano i ricercatori – nascono da cellule sane dell’organismo in cui, a un certo punto della vita, insorgono mutazioni nel Dna in grado di causare forti stravolgimenti nei normali processi cellulari. Milioni di malati nel mondo presentano lo stesso tipo di alterazione genetica nei tessuti malati: mutazioni nel gene che responsabile di uno dei più potenti soppressori dei tumori, la proteina p53. In moltissimi casi questi difetti non distruggono o inattivano la proteina p53, ma la modificano trasfromandola in uno dei principali protagonisti della trasformazione maligna.

Le mutazioni, però, a volte non bastano. La p53 mutante è instabile e per questo non è visibile in tutte le cellule del tumore. Come può, allora, questa pericolosa oncoproteina causare gli sconvolgimenti per cui, da oltre 40 anni, è ben nota a tutti gli studiosi di cancro? Da qui partono le ricerche condotte dal gruppo di ricerca di Giannino Del Sal, professore di Biologia applicata dell’università di Trieste e capo dell’unità di Oncologia molecolare del Laboratorio nazionale Cib all’Area Science Park di Trieste. Le sue ricerche sono state possibili grazie al sostegno dell’Associazione italiana per la ricerca sul cancro (Airc).

Lo studio ha permesso di svelare un aspetto cruciale e inedito di p53 e dei tumori: particolari condizioni fisiche del tessuto tumorale, come la durezza, la rigidità e la forte tensione che spesso caratterizzano i tumori più aggressivi, stabilizzano e stimolano l’attività della p53 mutata all’interno delle cellule maligne. Le cellule tumorali, infatti, reagiscono a questo genere di anomalie meccaniche attivando una catena di segnali biochimici all’interno della cellula che potenziano la p53 mutata, bloccando il sistema responsabile della sua distruzione. La cellula tumorale, così, non riesce più a tenere sotto controllo questa pericolosa proteina che si accumula e attiva un programma genetico in grado di stimolare la proliferazione, la resistenza alle terapie e l’invasione di altri tessuti.
Nel cancro la comunicazione tra cellule, malate e sane, non segue le regole; circolano segnali non programmati e non regolati; le proprietà fisiche dell’ambiente circostante cambiano e l’organizzazione strutturale si fa più rigida.

“I tumori sono organi malati in cui sono alterati non solo i geni, le proteine e una varietà di processi cellulari, ma dove è anche sconvolta l’organizzazione strutturale del tessuto – spiega Del Sal – Anche solo attraverso la palpazione, in molti tumori, è possibile percepire cambiamenti nella consistenza del tessuto e indurimenti. A causa della crescita della massa tumorale, infatti, all’interno del tessuto malato si generano deformazioni, zone di compressione e tensioni. Tutto questo può favorire ancor di più lo sviluppo e la progressione della malattia. Il problema per chi studia il cancro, quindi, è anche capire perché e in che modo queste anomalie concorrano alla crescita tumorale e alle metastasi, e come i loro effetti cooperino con quelli di altre aberrazioni”.

Il lavoro ha trovato un legame tra le anomalie meccaniche dei tessuti malati e l’aberrazione genetica più frequentemente riscontrata nei tumori, quella che porta alla produzione della proteina p53 mutata. Ma non solo. “Aspetto importante del nuovo meccanismo che abbiamo messo in luce – precisa Del Sal – è che la proteina p53 mutata dà origine a un circuito che si auto-rinforza. Infatti, se da un lato i segnali meccanici dell’ambiente tumorale stimolano l’accumulo di p53 mutata, questa a sua volta è in grado di rafforzare la risposta della cellula agli stessi segnali attraverso la riprogrammazione del metabolismo cellulare del colesterolo. Siamo riusciti a far arrivare al paziente parte di ciò che abbiamo imparato. C’è ancora molto da comprendere e da trasferire alla clinica – conclude – ma la scoperta pubblicata oggi, insieme ad altre realizzate nel corso di questo programma, ha fornito le basi scientifiche per avviare sperimentazioni cliniche, in corso, con l’obiettivo di studiare nelle pazienti con tumore al seno triplo negativo l’effetto anti-tumorale di farmaci che colpiscono la via metabolica del colesterolo”.

Condividi