Dj Fabo, parla la fidanzata: “Ecco cosa lo ha spinto a farla finita”

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Non sopportava l’idea di restare cieco a vita. E’ stata soprattutto questa la “molla” che ha spinto Fabiano Antoniani, il 40enne milanese conosciuto come dj Fabo, a farla finita. Lo ha sottolineato la sua fidanzata Valeria Imbrugno durante la sua deposizione nell’aula del processo contro Marco Cappato, il tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni che accompagnò dj Fabo in Svizzera a morire e che, dopo essersi autodenunciato, ora è imputato per aiuto al suicidio.

Fabiano Antoniani rimase vittima di un grave incidente d’auto nel giugno 2014. Dopo una serata trascorsa in un noto locale di Milano, durante il ritorno a casa la sua auto uscì di strada e lui fu sbalzato fuori dall’abitacolo. Finito in coma, inizialmente fu ricoverato al San Raffaele di Milano dove, come ha raccontato la fidanzata, “ci dissero che sarebbe rimasto tetraplegico a vita”.

Secondo Valeria, “se fosse stato solo tetraplegico, avrebbe voluto continuare a vivere”. Ha invece scelto di morire proprio perché, privato della vista, “sarebbe morto dentro“. Valeria conosce da sempre Fabiano. Prima come amica, negli ultimi 10 anni come fidanzata. “Con lui – ha ricordato in aula – non ci si annoiava mai. Era vivo, aveva voglia di vivere, viveva ogni secondo al massimo. A lui serviva una giornata di 48 ore”.

Ed è proprio la consapevolezza di dover restare in quella condizione d’ombra perenne ad averlo spinto al suicidio assistito: “Lui amava gli amici più ancora della sua fidanzata. Amava essere circodato dalla gente e soprattutto le reazioi che suscitava nella gente. Quando suonava e vedeva gli altri ballare, era felice. Senza poter più vedere queste reazioni negli altri, sarebbe morto dentro”.

La sua decisione di farla finita arrivò dopo il fallimento di una terapia di cellule staminali a cui si era sottoposto in India. “Se avessi provato a oppormi, dicendogli ‘non ti aiuto’ avrebbe voluto dire che non lo amavo. E comunque lui lo avrebbe fatto ugualmente”. Tanto che, di fronte alle resistenze della fidanzata e dalla madre, “decise di mettersi in sciopero della fame e della parola“.

E, una volta individuata la clinica Dignitas, effettuate le procedure burocratiche di rito e scelto la data del 27 febbraio scorso per sottoporsi al suicidio assistito, “mi disse: ‘ora sono sollevato e sono tranquillo'”. La coppia partì per Zurigo il 25 febbraio accompagnata da Cappato che guidò l’auto per tutto il viaggio: “Quel giorno gli chiesi se fosse sicuro di voler partire. Lui rispose: ‘Assolutamente sì'”.

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