“Valeria ma che vita è questa? Non è vita, io non so perché sto cercando di sopravvivere“: sono le parole che Fabiano Antoniani, noto come dj Fabo, morto con il suicidio assistito in Svizzera, rivolgeva alla fidanzata durante il lungo calvario che lei stessa ha raccontato in aula, nel processo che vede imputato Marco Cappato. La notte del 12 giugno 2014 Fabiano ha subito un incidente in auto che lo ha reso cieco e tetraplegico: cosa che lo ha spinto a togliersi la vita nella clinica Dignitas lo scorso 27 febbraio. Dopo i tanti trattamenti, nella primavera del 2015 la decisione irreversibile: “Lui aveva capito che non c’era più nulla da fare, che da quella situazione non sarebbe più uscito“, racconta la fidanzata Valeria. “Lui ha chiesto di morire, non sono rimasta stupita della sua decisione, lui non voleva viver così“. “Fabiano era vita all’ennesima potenza, diceva ‘per me la vita è qualità non quantità, io non sto vivendo, sto sopravvivendo in quantità’. Sapevo che avrebbe scelto di andare in quella direzione“.
Prima la prova, poi è morto in pochi minuti
“Il giorno prima è stata fatta una ‘prova’ per posizionare questo pulsante tra i denti, lo fa un’infermiera con la nostra visione, Fabiano si è agitato, alla fine ci è riuscito e si è calmato. Quel giorno abbiamo riso e scherzato, abbiamo parlato di tutto“, racconta Valeria in riferimento all’arrivo alla clinica Dignitas in Svizzera. “Non dormo quella notte, faccio fatica a guardare ogni singolo minuto, la mattina mi metto nel letto accanto a lui come sempre, per fargli sentire il mio respiro, che c’ero. Si sveglia, e gli dico ‘ci siamo, è oggi se lo vuoi, o possiamo tornare indietro’. Mangia lo yogurt, poi c’è tutta la prassi preparatoria. Noi – io e Carmen (la mamma di Fabiano) c’eravamo quando schiaccia” il pulsante con il veleno mortale, “in pochi secondi chiude gli occhi e si addormenta“. “Non poteva stare sdraiato, lo mettono un po’ seduto, la testa gli cade in avanti, allora io esco, esce anche sua madre e dopo qualche minuto ci avvisano che Fabiano se ne è andato“.
“Interrompendo le cure avrebbe sofferto”
“Interrompendo le cure, l’agonia per lui si sarebbe prolungata e avrebbe sofferto, in casa dove ci sarebbe stata sua madre, lui voleva tutto tranne che soffrire ancora“, prosegue Valeria. “Fabiano con la sua semi autonomia avrebbe potuto impiegarci 7-10 giorni di agonia“. “Aveva costantemente dolori dappertutto, era costantemente sotto farmaci, come se avesse dei crampi fissi, soprattutto nelle gambe, aveva dolori fortissimi e lui se ne lamentava. Chiedeva il triplo della quantità di medicinale indicata dal medico, tante notti la madre Carmen è rimasta sveglia, perché lui non riusciva a dormire per i dolori“.
“La sua morte una vittoria utile”
“Posso definirmi una combattente, ho combattuto con Fabo, con me stessa, se andare avanti tra essere la sua protesi e ‘io non ti aiuto’. In qualche maniera ho combattuto quella scelta, tergiversavo, cercavo qualcosa per farlo stare meglio ma non l’ho trovato. Io usavo con lui una metafora pugilistica: stavo combattendo con la signora Morte e sentivo che mi sentivo sconfitta, ma lui mi diceva ‘non ti devi sentire sconfitta perché questa è una vittoria’“: racconta Valeria. “Fabiano ha decide di portare avanti questa battaglia in maniera pubblica per sua scelta. La libertà è un valore importante e se questo poteva smuovere qualcosa sarebbe stato contento. Così ha fatto il video, era un modo per farlo sentire vivo, si sentiva vivo, utile, a portare avanti questa battaglia“.