Il sistema sanitario italiano non è al tracollo. “I dati a livello internazionale attestano che nel nostro Paese il bene-salute è accettabilmente garantito, pur tra le difformità e gli squilibri che ne inficiano l’immagine complessiva“. E’ il quadro che emerge dal primo Rapporto sul sistema sanitario italiano – Il termometro della salute – realizzato da Eurispes ed Enpam, all’interno dell’Osservatorio su salute, previdenza e legalità, presentato a Roma. Il rapporto ha indagato diversi temi e le maggiori contraddizioni del sistema, spiega Gian Maria Fara, presidente Eurispes, ricordando che “nonostante i ritardi e i problemi, il nostro Sistema sanitario nel confronto internazionale rimane uno dei migliori al mondo per la capacità di assicurare la salute dei nostri cittadini“.
Dello stesso parere Alberto Oliveti, presidente Fondazione Enpam, che sottolinea la necessità di sostenere il Ssn “anche nell’interesse dei nostri iscritti che in esso operano. Considerate le tendenze economico-finanziarie, gli andamenti demografici di denatalità e invecchiamento, l’evoluzione tecnologica e la digitalizzazione crediamo che la strada da percorrere per garantire la sostenibilità di un Ssn pubblico sia quella di selezionare i livelli essenziali di assistenza possibili, quelli cioè che possiamo garantire a tutti su tutto il territorio nazionale“.
“Il nostro Rapporto – aggiunge Vincenzo Macrì, presidente del comitato scientifico dell’Osservatorio salute, previdenza e legalità – si astiene rigorosamente da qualsiasi tentazione di forzature interpretative dei dati acquisiti ed elaborati. Le fonti sono amplissime e, molte, di matrice internazionale. Ne risulta un quadro che apparirà sorprendente a chi ritiene, sulla base dell’informazione pubblica e di quella del web, che la situazione italiana sia decisamente peggiore delle altre per l’inefficienza, gli sprechi, le carenze organizzative, l’assenteismo, le prassi corruttive, che ne caratterizzano l’attività. E invece così non è“.
Il Rapporto ha analizzato il sistema sanitario principalmente attraverso l’ottica dei cittadini/pazienti, ma senza nascondere le tematiche più generali della compatibilità nei conti pubblici. L’Italia investe il 14,1% della spesa pubblica per mantenere il proprio sistema sanitario, l’1,1% meno della media europea. L’Irlanda è il paese che vi dedica la quota più alta (19,3%), ma questa spesa incide solo per il 5,7% del proprio Pil, dato che per l’Italia sale al 7%. Cipro è il paese che spende per la sanità la percentuale più bassa della spesa pubblica, pari al 2,6% del proprio Pil.
Le famiglie spendono di tasca propria in particolare per le cure dentistiche, per le quali manca un’offerta pubblica adeguata. In Italia operano 37.047 medici odontoiatri (Istat-Rcfl-2016), ma in confronto ad altri paesi europei la quota degli odontoiatri che lavorano nella sanità pubblica è tra le più basse. Sempre per il 2016 si assesta al 2,9%, ovvero a meno di 1.100 unità. I liberi professionisti sono 31.604, e a loro volta generano lavoro per decine di migliaia di assistenti alla poltrona, igienisti e addetti alla segreteria. Anche in questo caso non esistono studi attendibili in grado di ‘quotare’ i numeri dei collaboratori degli studi dentistici.
Anche i temi legati agli sprechi e alle diverse aree di intervento dei fenomeni corruttivi che il Rapporto analizza a fondo non risultano una peculiarità del nostro Paese. Infatti le statistiche elaborate dagli organismi internazionali (Ocse e Ue) fanno rientrare l’Italia nei range medi di diffusione delle cattive pratiche e dell’illegalità. Il tasso medio di corruzione e frode in sanità è stimato al 5,59%, con un range che spazia tra il 3,29 e il 10%. Applicando questi valori alla situazione italiana, con una spesa pubblica di circa 113 miliardi di euro l’anno, ciò si tradurrebbe in un danno di circa di 6,5 miliardi di euro l’anno. Se poi alla stima dell’impatto della corruzione sommiamo quella dell’inefficienza della spesa pubblica nel comparto sanitario (che inciderebbe per il 3%) e il peso degli sprechi, valutato nell’ordine del 18% della spesa totale, l’insieme di corruzione, sprechi e inefficienze, costerebbe annualmente al nostro Paese ben 23,6 miliardi di euro.
L’attività del Comando dei Carabinieri per la tutela della salute ha prodotto solo nel 2016 ben 13.881 operazioni di controllo nell’area della sicurezza sanitaria e farmaceutica. Il valore complessivo delle sanzioni amministrative è stato di euro 6.151.019. Il valore dei beni sequestrati è stato di 165.347.185 euro. Sono state chiuse o sequestrate 237 strutture, e sequestrati 38.002 dispositivi e presidi medici, 727.933 confezioni di farmaci e 473.010 fiale o compresse. La Guardia di Finanza per il 2016 ha segnalato che le frodi più ingenti hanno interessato le procedure di accreditamento di strutture sanitarie, per un valore economico di oltre 50,4 milioni di euro, seguite in questa non esaltante classifica dalle truffe legate alle indebite percezioni di rimborsi e pagamenti da parte del Servizio Sanitario Nazionale (27 milioni di euro) e alle illecite attività lavorative svolte da dipendenti (7,1 milioni di euro).
Per quanto riguarda gli ‘sprechi’ legati alla medicina difensiva ammonterebbero a ben 13 miliardi l’anno una cifra che corrisponde all’11,8% dell’intera spesa sanitaria totale (pubblica e privata). Tra le contraddizioni più stridenti, quella della lunghezza delle liste di attesa per le visite specialistiche e per i ricoveri ospedalieri che ha prodotto riflessioni critiche sul ruolo ed il reale funzionamento dell’intramoenia, che finisce col generare una forte disparità nell’erogazione della cura su base censuaria, oltre che dilatare i tempi di accesso alle visite specialistiche per chi non vi fa ricorso. Inoltre il Rapporto segnala che se la spesa delle famiglie in ticket per il 2015 è di 1.403.626.000 euro, gli italiani hanno sborsato nello stesso anno per l’intramoenia ben 1.118.395.000 euro. Attualmente dall’intramoenia entra nelle casse pubbliche poco più 10% dei volumi generati dall’intramoenia stessa: circa 150 milioni di euro. La quota di ricavo lordo risulta inoltre progressivamente in discesa: circa il 15% nel triennio 2005-2007, intorno al 13% nel 2008.
Di fronte alle ristrettezze dei bilanci regionali, non sorprenderebbe scoprire nella sanità italiana un parco tecnologico carente e non ‘aggiornato’ rispetto alle nuove tecnologie, come conseguenza di un sistema impoverito e caratterizzato da bassi investimenti. E invece la presenza di apparecchiature tecnicobiomediche (nelle strutture ospedaliere e territoriali) risulta in aumento nel settore pubblico, anche se la loro disponibilità è fortemente variabile a livello regionale. Esistono, ad esempio, circa 106,2 mammografi ogni 1.000.000 di abitanti con valori che superano i 150 in due Regioni (Valle d’Aosta, Umbria). La regione che registra il rapporto minore tra apparecchiature tecnico-biomediche e abitanti è la Campania.
Il sistema sanitario italiano non è al tracollo: il “bene-salute” ancora garantito
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