I ricercatori di Eurac Research e dell’Università Medica di Innsbruck studiano la psicosi in alta quota e scoprono una nuova patologia.
In alta montagna può capitare di sentirsi inseguiti, dire frasi senza senso o cambiare percorso senza motivo. È noto e riportato anche dalla letteratura di montagna che in alta quota gli alpinisti possano soffrire di psicosi. I medici avevano sempre collegato questi disturbi alle malattie d’alta quota. Ora gli esperti di medicina di emergenza in montagna di Eurac Research e gli psichiatri dell’Università Medica di Innsbruck hanno svolto un’analisi scientifica sistematica e scoperto una nuova sindrome: la psicosi isolata d’alta quota. I risultati dello studio sono recentemente stati pubblicati nella prestigiosa rivista specialistica “Psychological Medicine”.
Racconti come questo sono frequenti nella letteratura alpina. Con il loro team Katharina Hüfner – docente alla clinica universitaria di Innsbruck – e Hermann Brugger – direttore dell’Istituto di medicina di emergenza in montagna di Eurac Research – hanno raccolto e analizzato sistematicamente per la prima volta circa 80 episodi di psicosi riportati nella letteratura di montagna tedesca.
Fino ad oggi i medici avevano ricondotto a cause organiche la sensazione di sentirsi seguiti – il cosiddetto “fenomeno del terzo uomo” – e altre allucinazioni acustiche, ottiche e olfattive. Assieme a forte mal di testa, vertigini e alterazione dell’equilibrio, spesso questi sintomi si manifestano in concomitanza a un edema cerebrale. “Con questo studio abbiamo scoperto che esiste un gruppo di sintomi puramente psicotici. Questo significa che sono sì collegati all’alta quota, ma non sono riconducibili a edema cerebrale o ad altri fattori organici come disidratazione, infezioni o malattie organiche”, spiega Hermann Brugger.
Spesso la psicosi isolata d’alta quota si manifesta sopra i 7.000 metri. Al momento sulle sue cause i ricercatori possono solo fare delle supposizioni. Fattori come mancanza d’ossigeno, condizione di completo isolamento e iniziale rigonfiamento di determinate regioni del cervello potrebbero scatenare la psicosi. Secondo le informazioni ad oggi disponibili, i sintomi scompaiono completamente scendendo a quote inferiori e non lasciano conseguenze. “Questo risultato ci permette di continuare a studiare la psicosi su persone altrimenti sane e di capire meglio alcune malattie psichiatriche, come la schizofrenia”, prosegue Katharina Hüfner.
I risultati dello studio sono importanti anche perché questa sindrome accresce il rischio di incidenti: “È fondamentale che gli alpinisti estremi siano informati di questo fenomeno. Possiamo supporre che ci sia un numero non registrato di incidenti e morti dovute alla psicosi”, aggiunge Brugger. “In futuro, per ridurre l’incidenza di questi incidenti, sarebbe importante definire delle strategie cognitive che l’alpinista stesso, da solo o con i compagni di escursione, possa mettere in pratica quando si manifestano i sintomi della psicosi”, spiega Hüfner.
La prossima primavera, assieme a medici nepalesi, i ricercatori svolgeranno altre analisi nell’area dell’Himalaya, anche per capire quanto frequente sia questa sindrome. “Le montagne più alte del mondo sono belle da impazzire, ma non sapevamo che potessero veramente farci perdere la testa”, scherza Brugger.