Sanità, non solo Mirandola: la mappa dell’Italia che punta sul biomedicale

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Non solo Mirandola. La mappa delle regioni che scommettono sul biomedicale oggi “è piuttosto articolata: oltre alle ‘tradizionali’ Lombardia, Toscana, Emilia Romagna e Lazio, negli anni numerose aree del Paese hanno deciso di puntare sulle scienze della vita e sui dispositivi medici. Un’industria che oggi conta 3.883 imprese e 349 start-up, con circa 76 mila dipendenti e un mercato italiano da 11,4 mld di euro”.

Parola del presidente di Assobiomedica, Massimiliano Boggetti, che per l’Adnkronos Salute ‘stila la mappa del biomedicale’ in Italia. “Le scienze della vita sono diventate una calamita, e il fatto che la medicina sia passata da un approccio per patologia a uno predittivo e preventivo ha creato un momento favorevole per gli investimenti nel settore”, nota Boggetti.

Sono 13 le Regioni che hanno scelto di puntare su numerosi ambiti di specializzazione legati alla Salute, fra cui quello dei dispositivi medici. Da Nord a Sud “ricordiamo il cluster lombardo delle Scienze della vita, il Consorzio per il centro di biomedicina molecolare di Bolzano, il Distretto biomedicale del Veneto, il Bioindustry Park Silvano Fumero in Piemonte, Liguria Digitale, Aster in Emilia Romagna, la Fondazione Toscana Life Sciences, Lazio Innova. Ma anche, al Sud, realtà come il Distretto tecnologico pugliese Salute dell’uomo e biotecnologie, la Società consortile BioTecnoMed in Calabria, il Distretto tecnologico Campania Bioscience, il Distretto tecnologico Sicilia micro e nanosistemi a Catania e il Consorzio Sardegna ricerche”. 

Insomma, se il polo mirandolese (che comprende i comuni di Mirandola, Medolla, Concordia, Cavezzo, San Felice sul Panaro, San Possidonio, San Prospero) è ormai leader in Europa nei prodotti plastici ‘usa e getta’ per uso medico e per le apparecchiature per dialisi, cardiochirurgia, trasfusione anestesia e rianimazione, aferesi e plasmaferesi, nutrizione e ginecologia, non è di certo solo.

Ci sono, inoltre, 10 provincie che si sono specializzate in particolari sotto-settori: è il caso di Sondrio e Modena con l’infusione e la dialisi, di Bolzano e Vicenza per il dentale, di Belluno per la terapia intensiva, di Vercelli per i biomarcatori e reagenti, di Bergamo nell’imaging, di Chieti nell’ortesi. Abbiamo poi Pavia con i dispositivi per il laboratorio e Chieti con gli ausili assorbenti”.

Un panorama articolato che, nonostante l’effetto cluster dei numerosi distretti, rispetto alla concorrenza europea paga “per la forte frammentazione e per le dimensioni ridotte delle imprese rispetto alle grandi multinazionali. Ecco perché chiediamo a gran voce al prossimo governo manovre di supporto specifiche per il comparto, che – rivendica Boggetti – è un’eccellenza italiana con fortissime ricadute sociali”.

“Stiamo lavorando – anticipa il presidente di Assobiomedica – a un documento sulle necessità del settore, che presenteremo ai candidati delle varie formazioni politiche a metà febbraio”. Le aziende hanno bene in mente l’esempio britannico e gli investimenti mirati al Polo di Londra, Oxford e Cambridge.

“L’Inghilterra ha messo sul piatto importanti finanziamenti”. E il risultato si è visto. “Ebbene, se si vuole credere nel nostro Paese occorre passare dalle parole ai fatti. Il comparto ha un export di 4,9 mld, ma si fa fatica a crescere se non si può contare sul proprio mercato interno”. E questo vale anche per un settore con il 36% dei dipendenti laureati, spesso ingegneri e ricercatori. E un numero di donne (44%) superiore alla media industriale.

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