“Che fa, dorme la notte?“. Ecco la domanda che ogni neo-mamma si sente puntualmente rivolgere da parenti, amici e persino sconosciuti, quando presenta al mondo il proprio bebè. E il sonno diventa spesso, per i genitori, il principale elemento di scombussolamento e preoccupazione, non solo nel corso dei primi giorni di vita del bimbo, ma anche nei mesi e a volte anni a seguire.
Proprio per evitare di dover poi intervenire con ‘terapie d’urto’ o rassegnarsi a non dormire per tanto, troppo tempo, “è possibile ‘insegnare’ fin da subito al bambino ad addormentarsi nella propria culla o lettino: occorre pensare che il piccolo è ‘carta bianca’ nella nostre mani, tutti i piccoli ‘vizi’ di addormentamento“, come cullamenti vari, ninne nanne e chi più ne ha più ne metta, “siamo noi a insegnarglieli, salvo poi cercare di tornare indietro, quando diventa troppo pesante continuare a coccolarli“. A spiegarlo all’Adnkronos Salute è Franca Scaglietta, puericultrice con 25 anni di esperienza e titolare della cooperativa ‘Franca e i bebè’, che offre assistenza alle neomamme in tutta Italia.
“Riposare – dice l’esperta – è la chiave per una gestione serena ed equilibrata del neonato. Se si perdono notti su notti, diventa davvero difficile mantenere la lucidità, la pazienza e l’efficienza necessarie in grandi dosi per affrontare la maternità. Bisogna ricordare questo: quando si esce dall’ospedale ci viene consegnato uno splendido ‘fagottino’ che non conosce nulla, puro come l’acqua di una sorgente, e se si hanno le informazioni giuste si può riuscire a impostare un metodo di addormentamento molto semplice, agendo ‘di prevenzione’“.
“A parte i primi 10 giorni di ‘conoscenza’, necessari anche per un buon avvio della montata lattea e dell’allattamento, e nei quali è difficile rispettare qualsiasi ordine di cose – prosegue Franca – la mamma deve sapere che il piccolo, una volta che è stato nutrito a sufficienza, ha fatto il ‘ruttino’, è stato cambiato, e certamente è stato anche coccolato, non ha bisogno di essere cullato all’infinito per addormentarsi, ma può essere sistemato nel suo giaciglio, se lo si desidera con il ciuccio, che è un oggetto consolatorio da utilizzare al momento opportuno, come quello della nanna. Anche se il piccolo è ancora sveglio, e anche se a volte ‘protesta’ o piange, dalla culla la mamma può fargli delle carezze, senza per forza riprenderlo subito in braccio, disturbandolo peraltro nella sua fase di addormentamento. So che per molte mamme fare questo è difficile, ma se si segue questo sistema e lo si ‘calibra’ bene secondo le proprie esigenze, poi se ne colgono davvero i frutti. Io sono convinta che la sicurezza di un genitore rappresenta la più grande certezza (e benessere) per un bambino“.
“La mamma – prosegue la puericultrice – spesso viene sopraffatta dalla convinzione di non saper interpretare i segnali del piccolo. E non importa quanta esperienza si abbia: ho assistito recentemente una madre con tre figli, che era davvero disorientata. Questo accade perché i segnali che non si sanno ‘tradurre’ spesso suscitano emozioni negative, legate al nostro vissuto. Per questo il lavoro grande lo devono fare le mamme: liberarsi dalle informazioni sbagliate, dai giudizi, dalle presenze indesiderate in casa. Per raggiungere l’equilibrio occorre prendere le redini della situazione, perché c’è una gerarchia in casa: sono i genitori a decidere per i figli“.
E questo fin da subito, per ogni ‘settore’ della vita: “Il bambino non sa come ci si addormenta, deve insegnarglielo la mamma. Oppure non sa che si dorme con la luce accesa, sono i genitori a suggerirglielo, con la lampada della notte. Se la mamma lo addormenterà sempre in braccio, cullandolo, e con la luce accesa, il piccolo si abituerà in questo modo e sarà poi difficile fargli ‘cambiare idea’, soprattutto da più grandicello. Non dare al piccolo la possibilità di conoscere le ‘cattive abitudini’ – precisa – non significa non essere presente per lui o lei o non dare amore. Al contrario, se la mamma gestisce bene il piccolo in questo frangente di tempo acquisisce la sicurezza e la capacità di gestire la sua crescita, quando starà sveglio per un numero maggiore di ore e bisognerà interpretare ancora meglio i suoi segnali di stanchezza o fame“.
Dalla nascita della sua cooperativa, due anni fa, Franca Scaglietta ha assistito a Roma “circa 80 mamme l’anno: si sta diffondendo la consapevolezza di potersi rivolgere a personale specializzato subito dopo il rientro dal parto – spiega – per avere informazioni chiare e non ‘alterate’ come quelle che provengono da internet, o da zie e suocere: ci si affida a una persona estranea ma competente, quasi come per non fare un torto a nessuno e avere le giuste ‘dritte’. E’ una grande possibilità di aiuto“, assicura.