Tumori, lo scienziato: la dieta può frenare o mettere il turbo alle cure

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Io credo che noi siamo la vita che abbiamo condotto“. Ne è convinto Antonio Moschetta, classe 1973, ordinario di Medicina interna e presidente del corso di laurea in Medicina dell’università Aldo Moro di Bari. Lui che nella sua vita è stato prima un ‘cervello in fuga’, “inteso come un cervello che tentava all’estero di crescere di più“, poi rientrato in Italia nel 2005 grazie a un grant ‘Start Up’ dell’Airc, dopo essere stato fra le altre cose allievo del premio Nobel Al Gilman negli Usa, ha deciso di mettere sotto la lente proprio uno degli aspetti più importanti dell’esistenza delle persone: l’alimentazione. E il rapporto che esiste fra il nostro stile di vita a tavola e il cancro, stringendo l’obiettivo fin dentro le cellule, fino alle strade attraverso cui il tumore si nutre per crescere.
Dal 2010 è titolare di un Investigator Grant dell’Airc su metabolismo dei tumori e regolazione genica, che gli permette di dare continuità al suo lavoro e soprattutto a quello dei 19 giovani ricercatori che attualmente lavorano con lui. E in occasione del lancio delle ‘Arance della salute’ dell’Airc, che sabato 27 gennaio torneranno in 2.500 piazze d’Italia, lancia un messaggio che passa ancora una volta dalla tavola. “La nutrizione e lo stato di salute che da essa deriva – spiega all’AdnKronos Salute – possono garantire non solo la capacità di ammalarsi di meno ma anche di curarsi meglio“.
La campagna delle Arance della salute, evidenzia, “rappresenta un’occasione annuale per sottolineare la rilevanza del rapporto tra nutrienti, ambiente e tumore. Ogni anno ci dà la possibilità di raccontare a tutti le scoperte e i vantaggi che la scienza ci sta offrendo per la prevenzione e la terapia dei tumori. Perché è ben noto ormai che un tumore su tre dipende dagli stili di vita“, in cui un ruolo di punta è giocato dalla nutrizione.
L’associazione americana di oncologia clinica – spiega Moschetta – ha pubblicato dati sul rapporto tra obesità, ipernutrizione e cancro, che sottolineano come si abbia negli obesi un aumento del rischio di tumori e come addirittura la mortalità da cancro possa aumentare fino al 20% in questi soggetti. I tumori del seno, della prostata, del colon retto e del tubo gastroenterico sono più sensibili a questa modifica nutrizionale. E l’obesità, l’essere in uno stato ipermetabolico, con una circonferenza dell’addome elevata e in una condizione di pre-diabete, riduce le chance di guarire una volta scoperto il tumore. A parità di terapia, è scientificamente dimostrato che le donne obese con cancro al seno hanno quasi il 35% in meno di capacità di risposta positiva alla terapia rispetto alle donne non obese“.
Per lo scienziato “è questo il punto che deve venir fuori da questa campagna. A nessuno venga in mente che la nutrizione da sola può curare i tumori“, precisa invitando tutti a fare attenzione a non cadere nelle ‘fake news’. Ma “è importante sottolineare che un cambio di nutrizione può garantire il funzionamento delle cure. Si può rendere il cancro una malattia sempre più curabile. Già oggi grazie alla scienza la percentuale di curabilità si è raddoppiata, passando al 57% dei casi, contro il 30% degli anni ’90.
Oggi si sta ponendo “tanta attenzione all’organismo che ospita il tumore, allo stato di salute di questo organismo e alla capacità di togliere benzina alla crescita del tumore, attraverso lo studio di strade intracellulari“. E in questo quadro un ruolo lo gioca anche la dieta. Quella mediterranea “rappresenta uno stile di vita che riduce notevolmente la capacità di ammalarsi. I protocolli di modifica nutrizionale, l’esercizio fisico, e così via, servono a inserire l’organismo in una fascia di rischio inferiore, ma anche in una condizione di maggiore risposta alla terapia per guarire” quando ci si ammala di cancro.
Esiste dunque uno stile di vita ottimale consigliabile a tutti? “Se partissimo tutti contemporaneamente dal nastro di partenza, l’unico stile di vita che si è dimostrato in grado di ridurre e prevenire è la dieta mediterranea in tutte le sue sfaccettature, cioè con la riduzione dell’indice glicemico, l’attività fisica associata, gli orari di assunzione degli alimenti.” E ‘contaminando’ questo regime alimentare “con cibo e nutrienti provenienti da aree che hanno un’incidenza inferiore di alcuni tumori. Per esempio gli alimenti con curcumina e lo zenzero sono nutrienti che non facevano parte della dieta mediterranea e possono aumentare ulteriormente la capacità di riduzione del fattore di rischio“.
Ma, precisa Moschetta, “non va dimenticato che non si parte tutti insieme dallo stesso ‘start’. E fra gli obiettivi di tanti scienziati Airc c’è anche quello di capire come ‘personalizzare’ lo studio metabolico della benzina del tumore in un determinato paziente e in determinate circostanze, per spiegare perché lo stesso cancro con la stessa morfologia e con la stessa mutazione genetica corre a velocità esponenzialmente diverse in un malato rispetto a un altro. Lo sforzo finale sarà integrare studi molecolari e di nutrigenomica per scoprire i nuovi bersagli da colpire. E incidere in misura maggiore nella cura del cancro“.
Anche il team di Moschetta va in questa direzione: “Noi adesso ci stiamo focalizzando su come la modifica metabolica di un organo può causare dei segnali nell’organismo, che vanno a cambiare la crescita tumorale. Abbiamo recentemente identificato ormoni prodotti dall’intestino che segnalando al fegato la modifica di alcuni grassi possono proteggere quest’ultimo dal tumore. Stiamo indagando su cellule circolanti che, richiamate nella zona tumorale, sono in grado di raddoppiare la crescita del cancro. Vogliamo capire se – e come – è possibile identificare nuovi target, questa volta all’esterno del tumore, quindi nelle cellule intorno ad esso o nell’organismo, in grado di ‘affamare’ e condurre a morte programmata lo stesso tumore“.

 

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