“Fa malissimo leggere i commenti sotto le tue foto e sentirti dare della prostituta. Ti senti sporca“. Sono le parole di una ragazza come tante, caduta nella rete del ‘sexting’, e risuonano nel Piccolo teatro Strelher di Milano come un monito per i 900 studenti che lo affollano in occasione del ‘Safer Internet Day‘, in programma oggi, martedì 6 febbraio, in tutta Italia. Per lei tutto è iniziato con una foto osé inviata a una persona di cui si fidava. Il resto lo ha fatto la Rete e la ‘mala educación’ che ormai dilaga online. Ed è solo una delle testimonianze che si sono susseguite in occasione dell’evento ‘Crea, connetti e condividi il rispetto – un Internet migliore comincia da te’, a cura di Cuore e Parole Onlus, associazione che dal 2004 è impegnata nel contrasto e nella prevenzione del disagio giovanile e nella promozione di sani stili di vita (anche digitale).
Cyberstorie che hanno spinto gli organizzatori dell’iniziativa (promossa da Safer Internet Centre Italiano – Generazioni Connesse con il contributo della Regione Lombardia e il supporto dell’Ufficio scolastico regionale) a lanciare un ‘social code’, una sorta di bon ton digitale per far capire ai giovanissimi che dietro schermi e tastiere ci sono persone in carne e ossa, e con un cuore da maneggiare con cura. Prima regola: rispetto, ripetono più volte gli esperti che hanno presentato le regole del social code. Ma anche sicurezza sulla Rete. “Quando utilizziamo un social network – si legge nel ‘codice’ – prendiamoci sempre qualche minuto per impostare la privacy. Del resto, quando ci presentiamo a qualcuno, non consegniamo al nuovo conoscente la nostra agenda con i riferimenti sulla nostra abitazione, i recapiti telefonici e così via“.
Lo sforzo degli estensori del social code è stato proprio questo: accostare vita reale e digitale per far comprendere ai ragazzi che non sono staccate l’una dall’altra. E la ‘violenza’ può attraversarle entrambe. Come testimoniano anche le storie raccontate da Mirko Stifano, giudice del Tribunale per i minorenni di Bologna, e dal commissario capo Rocco Nardulli, Polizia Postale e delle Comunicazioni per la Lombardia. Storie di ragazzi vittime di bullismo, costretti per esempio a leccare suole di scarpe o a sbattere la testa contro un muro, e di altri vittime delle insidie della Rete.
Non a caso il secondo punto del vademecum curato da Cuore e Parole tocca il tema della ‘web reputation’: “Le nostre foto, i nostri post e tutto ciò che condividiamo parla di noi e può farlo a lungo, se non per sempre“, è il monito. E ancora un rimando alla vita lontano dalla tastiera: “Chi si metterebbe in una vetrina di un negozio nel centro della propria città in atteggiamenti ambigui, intimi e imbarazzanti? Chi di noi in mezzo alla strada o su un mezzo pubblico aggredirebbe un passante per il suo look? Manteniamo questo buon senso anche sui social network, preservando la nostra immagine pubblica da facili critiche“.
E poi c’è la cosiddetta ‘Netiquette‘, che si lega anche al valore della privacy e all’importanza di chiedere ‘permesso’: “Nessuno di noi può obbligare il prossimo a compiere azioni contro il suo volere: possiamo proporre alternative a nostro piacimento, ma la coercizione viola ogni principio di rispetto e libertà. Chiedere ‘permesso’ è buona norma sia quando si entra nelle altrui stanze sia quando ci si affaccia al profilo digitale di un’altra persona, se si desidera citarla o taggarla“.
Basta poco per fare male. Le parole possono essere carezze o armi affilate, e gli autori del social code invitano dunque a “usare online un linguaggio educato e rispettare le opinioni degli altri, anche se differenti dalle nostre“. Si apre così la strada a “dibattiti costruttivi che possono contribuire a contrastare fenomeni come quello dell”hate speech’. I cosiddetti ‘messaggi d’odio’ sono utili solo a fomentare la violenza in ogni sua forma e non facilitano la soluzione dei problemi“. L’appello è anche a guardare oltre lo schermo: “Anche oggi, nel nostro mondo sempre più digitalizzato, è meglio prediligere le vie tradizionali di comunicazione: guardare negli occhi il nostro interlocutore e percepirne quindi più facilmente le reazioni e la sincerità può dare molta più soddisfazione“.
Un capitolo del social code è dedicato alla scuola, e tocca dall’educazione a comunicare al tema della digitalizzazione della vita fra i banchi, senza tralasciare i casi di ‘risse’ tra famiglie e docenti sui gruppi social, con le chat di What’s App in cima alla lista. “Alcuni dirigenti scolastici ne hanno vietato l’uso ai docenti, altri hanno preso provvedimenti disciplinari, altri hanno tollerato le controversie cercando una mediazione negli spazi scolastici. Mentre attendiamo dagli esperti e dalle istituzioni direttive chiare, se non definitive, proviamo con il buon senso“, si suggerisce.
Sui servizi di messaggistica istantanea e di chat si evidenzia il rischio che risultino “invadenti. E’ quindi forse più idoneo ricorrere al meno invasivo strumento dell’e-mail per le comunicazioni da parte della scuola e dei docenti verso le famiglie“, riflettono gli autori del codice che, pur riconoscendo la comodità di queste forme di comunicazione immediata – che permettono di aggiornare il gruppo classe in un click – mettono in guardia dagli effetti collaterali. “Forse si rischia di togliere ai nostri figli e studenti il compito di veicolare gli scambi tra la scuola e la famiglia“, osservano gli esperti. “Se è necessario che negli zaini ci sia il pranzo al sacco in occasione di una gita, è forse meglio che gli studenti vengano ricondotti a un buon utilizzo del diario, piuttosto che ‘scavalcarli’ con comunicazioni tra gli adulti di riferimento, deresponsabilizzandoli“.
Nella mattinata allo Strehler c’è stato spazio anche per il divertimento con l’intervento di Roberto Lipari, volto delle trasmissioni ‘Colorado’ e ‘Made in Sud’. Ma soprattutto per la riflessione sul rapporto di adulti e ragazzi con il web, in un’epoca in cui anche i genitori hanno un’identità digitale. La ‘Netiquette’ deve partire proprio da loro, è il messaggio che arriva da esperti come la psicologa e psicoterapeuta Cristina Mastronardi. Fra i traumi confidati dai ragazzi, infatti, c’è anche questo: madri e padri che postano foto della loro vita sopra le righe, tra feste e troppi cocktail, dimenticando che il web è una piazza alla quale si affacciano tutti. Anche i loro figli.