Tumore al cervello: super cura sviluppata da una coppia di italiani, corsa per testarla

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Tumore al cervello: scoperta una nuova terapia che mira con precisione al Dna ‘malato’ di una specifica forma di glioblastoma, il cancro cerebrale più diffuso e aggressivo. Questa nuova via sperimentale, nata dalle scoperte di due scienziati italiani, è stata aperta dagli studi di Antonio Iavarone, autore della mappa genetica più completa mai realizzata per il glioblastoma o glioma.

Da quando nel 1999 ha lasciato l’Italia, insieme alla moglie e collega Anna Lasorella per anni ha lavorato alla Columbia University di New York su questo studio. Si tratta di un particolare assetto del Dna – la fusione dei geni Fgfr e Tacc – presente nel 3% dei malati di glioblastoma e in percentuale simile anche in altri tumori, come si è successivamente scoperto. Alcuni trial clinici con farmaci che mirano a una delle proteine coinvolte nella fusione genica sono partiti “almeno 2 anni fa”.

In particolare in Francia i pazienti vengono arruolati “attraverso una rete molto efficiente che collega i centri di neuro-oncologia del Paese. Nelle strutture maggiori viene sistematicamente fatta l’analisi molecolare dei tumori per vedere se è presente la fusione genica – spiega lo scienziato all’AdnKronos Salute in occasione di una ‘trasferta’ a Milano – e, se c’è, il passo successivo è l’accesso ai trial clinici che vengono svolti in collaborazione con le aziende produttrici dei farmaci bersaglio, inibitori di tirosin-chinasi. Il più recente è partito qualche mese fa “con un farmaco (sempre con lo stesso bersaglio) che riteniamo ancora più efficace e potente. Ed è esattamente questa sperimentazione che stiamo cercando ora di aprire anche nel capoluogo lombardo all’Istituto neurologico Besta, per poter così arruolare e trattare pazienti anche in Italia, annuncia lo scienziato.

Iavarone è al lavoro con il neuro-oncologo del Besta, Gaetano Finocchiaro, “con il quale dalla Columbia abbiamo una collaborazione che va avanti ormai da almeno 10 anni e abbiamo già fatto studi importanti“, dice Iavarone. La speranza è di “riuscire a partire nei prossimi mesi. E’ solo una questione logistica e burocratica che riguarda la fase di standardizzazione dell’analisi molecolare e sta un po’ ritardando l’apertura del trial. Perché la chiave di questo studio – che è un esempio di come si fanno i trial clinici di ‘precision medicine’ – è che si deve prima studiare il tumore. Quindi siamo impegnati per rendere possibile il primo step cruciale, da cui parte tutto il percorso”.

L’ultima scoperta di  Iavarone e Lasorella, pubblicata nei primi giorni del 2018 su ‘Nature’, apre ulteriori vie percorribili. Gli scienziati hanno capito che elemento cardine del meccanismo innescato dalla fusione dei due geni è l’aumento del numero e dell’attività dei mitocondri (centraline di produzione di energia all’interno delle cellule) che dà benzina al cancro. Aggiungere quindi farmaci che interferiscono con la produzione di energia potrebbe affilare ulteriormente le armi contro il tumore.“Queste nuove prospettive terapeutiche sono al momento a livello preclinico – prosegue l’esperto – e stiamo cercando di validarle in associazione con i farmaci bersaglio che, a lungo andare, portano a un meccanismo di resistenza da parte del tumore. Pensiamo che la combinazione possa impedire lo sviluppo della resistenza oltre ad avere un effetto sinergico fin dall’inizio”.

Per stare dietro agli input che arrivano dai laboratori “servono competenze e infrastrutture”. I pazienti che verranno reclutati per il trial clinico in partenza al Besta “sono tutti con recidive di glioblastomi. Contro questo tumore – spiega Iavarone – all’inizio si segue la via della chirurgia, indispensabile anche per sapere se il tumore è positivo alla fusione genica, poi si fanno chemio e radioterapia. E il più delle volte, in media dopo un anno e mezzo, il tumore ritorna. Ma a questo punto non esistono oggi farmaci efficaci. E’ in questa situazione che i pazienti ricevono il trattamento in questo trial“.

Ma l’Italia è pronta per accogliere la rivoluzione della medicina di precisione? “Al momento no – riflette lo scienziato – L’Italia ha il problema che non ci sono grandi centri di ricerca in grado di analizzare in maniera completa, all’avanguardia e di frontiera i ‘big data’ del cancro. Quanto più approfondito è lo studio del tumore, tanto più accuratamente si possono trovare delle possibilità terapeutiche“. E’ un cammino che parte dalla genetica, “dalla bioinformatica che ci fa analizzare i big data di sequenza della genetica – continua Iavarone – Oggi la medicina personalizzata del cancro è una realtà molto presente, ma non standardizzata. Tutto dipende dalla capacità di azione di un determinato centro”.

E’ necessaria innanzitutto la “creazione di banche dei tumori. Se non c’è un tumore da studiare perché non lo si congela dalla sala operatoria, quella base minima necessaria per fare gli studi successivi non c’è. Poi ci sono tantissimi altri passaggi. Molti scienziati al lavoro su questo fronte nel mondo analizzano piattaforme molecolari multiple (big data) che possono essere generate dai tumori facendo analisi di vario tipo che vengono poi messe insieme. Noi possiamo così identificare mutazioni e fusioni geniche, e capire quali sono quelle che vale la pena bersagliare. Molte le chiamiamo ‘passenger’, cioè alterazioni casuali. I tumori cambiano continuamente il loro patrimonio genetico – puntualizza l’esperto – E’ importante identificare le alterazioni ‘driver’ con analisi sofisticate a livello matematico e statistico”.

Non solo: si può poi creare in laboratorio il cosiddetto ‘avatar’ del tumore, “una struttura organoide tridimensionale che si ottiene usando immediatamente le cellule del tumore che viene direttamente dalla sala operatoria e facendole crescere con tecniche sofisticate. A questo punto le opzioni terapeutiche identificate con tutte le analisi condotte le andiamo prima a testare negli avatar. Così si possono trovare possibilità altrimenti imprevedibili”.

“E’ una strada complessa”, ammette Iavarone. Negli Usa “in minima parte ci sono centri come lo Sloan Kettering e l’Md Anderson, ma anche noi alla Columbia, che stanno provando a fare tutto questo. Nonostante tutto c’è un ritardo nella medicina personalizzata, un gap tra quello che si fa in laboratorio e i benefici ai pazienti che ancora non si riescono a dare in tempo reale“.

“Credo – incalza lo scienziato – che l’Italia e in generale l’Europa avrebbero oggi la possibilità, e il dovere, di investire in grandi progetti di ricerca traslazionale che possano rappresentare la frontiera della medicina personalizzata e che vanno esattamente in questa direzione. Spero che lo Human Technopole sia ancora una buona occasione, perché tutti gli obiettivi che sono stati enunciati sono giusti”.

“Io e altri colleghi negli Usa – conclude Iavarone – siamo stati molto entusiasmati dal fatto che finalmente l’Italia mettesse in piedi un progetto così importante, cosa che in passato non aveva mai fatto. Se venisse fatto nella maniera giusta, con una reale apertura internazionale e il coinvolgimento di scienziati da tutto il mondo, probabilmente questo modello si dovrebbe poi replicare in Italia, facendo più di uno di questi centri, per fornire ai pazienti delle varie regioni italiane anche al Centro e al Sud una possibilità di questo tipo”. E se ci fosse davvero “la volontà di accompagnare una svolta culturale” di questo tipo? Allora, sorride, “non escludo un ritorno“.

 

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