8 marzo: quasi 9 donne su 10 caregiver, assistono i familiari ogni giorno

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Si scrive caregiver – ‘chi si prende cura’ – ma si legge ‘donne’. E’ questo, infatti, il ruolo che svolgono quotidianamente quasi 9 italiane su 10. Vere e proprie manager delle cure familiari, che assistono un parente ammalato o disabile e parlano con il medico di famiglia, il pediatra, il cardiologo, l’oncologo e così via. E che per conciliare esigenze familiari e lavorative trascurano gli interessi personali e persino la salute. E in alcuni casi sono lasciate sole nella gestione della propria malattia, anche se grave. E’ quanto emerge dall’indagine Ipsos illustrata oggi a Roma a un evento di Farmindustria, in collaborazione con Onda-Osservatorio nazionale sulla salute della donna, ‘Soprattutto donna! Valore e tutela del caregiver familiare’.
Dall’analisi su un campione di 800 donne adulte in Italia si evince che soltanto per il 14% delle italiane dai 18 anni in su il coinvolgimento come caregiver è nullo o quasi. Per il restante 86%, con diversi gradi di intensità, l’equilibrismo tra molteplici ruoli e compiti è un esercizio quotidiano. In particolare, le necessità familiari che ruotano attorno alla sfera della salute sono in elevata misura di competenza delle donne che sono presenti al momento della prevenzione (66%), vegliano sul percorso terapeutico (65%), sono l’interlocutore privilegiato del medico nella fase della diagnosi (58%) e della terapia (59%). Tale incombenza è ancora più intensa quando si tratta della salute dei bambini, quando la donna delega solo in una ristrettissima minoranza di casi al proprio partner la cura (6%) e l’interlocuzione con il pediatra (5%).
Degno di nota anche il livello di autonomia che si rileva quando è la donna stessa ad avere bisogno di cure: nel 46% dei casi di problemi lievi di salute e nel 29% degli eventi più gravi, la donna fa da sé. E fa tanto più da sé, quanto più è già abituata ad assumersi molteplici incombenze: il 68% delle donne con alto tasso di coinvolgimento nel caregiving si ‘arrangiano da sole’.
Presso un terzo circa (28%) delle famiglie delle donne intervistate c’è almeno un soggetto bisognoso di accudimento, perché portatore di una fragilità. In prevalenza di tratta di persone anziane, più o meno autosufficienti (20% in totale), ma in un caso su 10 si tratta di un malato grave o di un soggetto disabile. Nelle famiglie in cui la donna si occupa di qualcuno gravemente malato – 9% dei casi – è quasi sempre una persona anziana (madri, padri, un coniuge), mentre più rari sono i figli gravemente malati. Anche in questo caso, la delega è quasi nulla: un terzo delle donne fa senza aiuti, circa la metà può contare su un aiuto in famiglia, mentre soltanto nel 14% dei casi ci si appoggia a un aiuto esterno. Ovviamente questo incide sulla propria soddisfazione personale (51% di insoddisfatte tra coloro che si occupano di un malato grave).
L’elevato coinvolgimento e lo sforzo che il caregiving richiede loro fanno sì che la percezione delle donne rispetto allo stato delle politiche di welfare in Italia risulti arretrato quando confrontato al resto dell’Europa (per il 69% delle intervistate). Appare chiaro alle donne italiane che la crisi ha impresso un cambiamento nei bisogni della popolazione (72%), che i policy maker non hanno saputo interpretare adeguando il sistema di welfare (70%) soprattutto ai bisogni delle fasce di popolazione più esposte (69%)
Le italiane sono altresì consapevoli del fatto che il sistema così com’è non è sostenibile (46%) e pertanto la sua capacità di perequazione sociale è limitata (32%). Per metà delle intervistate (48%) il mondo dell’impresa potrebbe avere un ruolo positivo nell’accollarsi parte dell’onere di protezione. Tra le lavoratrici (circa il 40% delle intervistate) una su 4 (26%) non conosce il meccanismo, mentre circa un quarto (23%) dispone in azienda di una qualche misura di sostegno, ma solo il 7% ne fa uso e comunque lo giudica un’ottima misura di gestione del work-life balance.

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