Le malattie croniche in Europa sono responsabili dell’86% di tutti i decessi e di una spesa di circa 700 miliardi di euro l’anno. In Italia sono quasi 24 milioni le persone che soffrono di una o più di queste patologie. Il nostro Paese un anno e mezzo fa ha messo a punto il Piano nazionale delle cronicità, ma l’attuazione “va a rilento. Attraverso l’intesa di settembre 2016 tutte le Regioni e Province autonome si impegnano a recepire il documento. Ma ad oggi le Regioni procedono in ordine sparso e ci sono ancora molte aree critiche nella gestione delle malattie croniche”.
Il quadro emerge dal seminario ‘Piano nazionale delle cronicità: a che punto siamo’, promosso dal Tribunale per i diritti del malato-Cittadinanzattiva, con la partecipazione dei principali stakeholder del mondo della Salute e con il sostegno non condizionato di Chiesi Farmaceutici Spa.
“L’attuazione sostanziale del Piano in tutte le Regioni – spiega Tonino Aceti, coordinatore nazionale del Tdm e responsabile del Coordinamento nazionale delle associazioni dei malati cronici di Cittadinanzattiva – rappresenta un eccezionale strumento per ridurre le disuguaglianze nell’accesso alle cure da parte dei cittadini, per garantire effettività ai livelli essenziali di assistenza e per contribuire alla sostenibilità del Servizio sanitario nazionale mediante l’innovazione organizzativa che questo introduce. Perciò, a distanza di un anno e mezzo dall’approvazione dello stesso, è preoccupante che siano solo 5 le Regioni ad averlo recepito formalmente. E’ necessario che velocemente tutte le Regioni si mettano in regola”.
Per questo il Tdm chiede al ministero della Salute che “il recepimento e l’attuazione del Piano da parte delle Regioni sia riconosciuto come vero e proprio ‘adempimento Lea’ oggetto di verifica da parte del Comitato nazionale e come indicatore da introdurre e verificare nel nuovo Sistema nazionale di garanzia dei Lea, ancora non attivo. Il coinvolgimento delle associazioni di cittadini e pazienti nell’attuazione del Piano a livello regionale non può essere considerata dalle Regioni ‘opzionale’ o attivabile ‘a convenienza’ come sta accadendo nei fatti, ma al contrario rappresenta un elemento strutturale, di valore e qualità da garantire sempre in tutto il ciclo delle politiche sanitarie pubbliche. Infine, bisogna accelerare sull’informatizzazione del Ssn a partire dall’attuazione del Piano operativo nazionale cronicità 2017-2023 per l’Ict in sanità”.
Il Tdm rileva che, nonostante il Piano preveda un ruolo specifico delle associazioni e stabilisca inoltre che debbano esserci sedi e strumenti di confronto a livello nazionale, regionale e aziendale, non risulta, dalla lettura degli atti di recepimento regionali, che questi strumenti e sedi siano previste in maniera esplicita. Ad esempio: la delibera della Regione Lazio del 20 febbraio prevede ‘l’istituzione di un Gruppo di lavoro regionale di coordinamento e monitoraggio delle attività riguardanti il Piano nazionale cronicità’ costituito da tecnici e personale sanitario, e la possibilità ‘opzionale’ di “avvalersi, di volta in volta, della collaborazione di ulteriori esperti in materia per la trattazione di argomenti specifici, nonché di rappresentanti delle associazioni dei malati cronici e delle associazioni dei pazienti”, escludendo di fatto la partecipazione nelle decisioni di impianto generale, lasciando discrezionalità su quando e come coinvolgere le associazioni.
L’Umbria invece, nella delibera 902 di luglio scorso, indica di aver preso “atto dei lavori prodotti dai gruppi clinici costituiti dalla Direzione regionale Salute, Welfare” e riferisce che “in corso d’opera si è ritenuto necessario coinvolgere altri professionisti”, rimandando al processo di approvazione del Piano sanitario regionale la fase partecipativa.