Lo scorso anno dal primo Forum mondiale dei Paesi produttori di caffè fu lanciato un allarme, solo parzialmente ascoltato. All’epoca, infatti, si cercò di focalizzare l’attenzione sul fatto che i cambiamenti climatici in corso nel nostro Pianeta, sarebbero in grado di dimezzare le terre coltivabili entro il 2050, a causa (e non solo) dell’innalzamento delle temperature.
Certo, questo non significa che le nostre abitudini di consumo siano destinate ad essere drasticamente cambiate nel breve termine, o che la produzione e la commercializzazione di alcuni dei prodotti consumabili “domestici” preferiti dagli italiani, come le cialde compatibili Dolce Gusto, le Cialde Nespresso compatibili o le cialde Lavazza Espresso Point siano destinate a scarseggiare negli scaffali dei supermercati o sui siti specializzati come https://www.torocaffe.com. Significa tuttavia che sarebbe comunque opportuno impegnarsi per poter fronteggiare eventi metereologici estremi sempre più frequenti, come ondate di caldo straordinarie e prolungate, alternate ad alluvioni e fenomeni in grado di impattare negativamente su realtà extra urbane e urbane.
Purtroppo, almeno per il momento, sembra che l’invito emerso dal Forum non abbia ancora prodotto la giusta attenzione. Se infatti è vero che tutte le nazioni saranno colpite dai cambiamenti climatici, e che il caffè è una delle materie prime che potrebbe subire le peggiori conseguenze, visto e considerato che è molto sensibile alle variazioni della temperatura, è anche vero che molti Paesi non sembrano spingere nella stessa omogenea direzione del contenimento dell’impatto climatico, e che pertanto ampi paiono essere i margini di miglioramento dell’impegno politico, e non solo.
Peraltro, in questo contesto di deterioramento delle condizioni climatiche, il consumo di caffè continua ad aumentare senza particolari battute d’arresto. Gli ultimi dati ufficiali manifestano che tra il 2015 e il 2016 il quantitativo complessivo di caffè consumato in tutto il mondo è cresciuto ancora, superando quota 151 milioni di sacchi da 60 kg, ovvero 3,3 milioni di sacchi in più rispetto a quella che è stata la produzione totale raggiunta nello stesso periodo, andando a intaccare i depositi precedentemente accumulati (merito di una sovraproduzione avvenuta negli anni precedenti).
Appare così evidente che se il trend dovesse continuare, ben presto i produttori potrebbero non essere in grado di far fronte alla richiesta mondiale. Insomma, in un contesto internazionale di contenimento delle terre coltivabili (e dunque di produzione) e di crescente domanda, il rischio che si finisca in “tilt” nel medio termine è tutt’altro che risibile. Sia d’altronde sufficiente chiedere conferma al Brasile, uno dei principali esportatori, che nel 2017 ha visto calare in doppia cifra la produzione di caffè, o ancora in Colombia, che ha visto la propria produzione contrarsi in modo drastico negli stessi mesi, o ulteriormente all’Etiopia, che nei prossimi decenni dovrebbe fare a meno di circa la metà delle terre che oggi sono adatte alla coltivazione del caffè.
I tempi cambiano, dunque, e lo fanno evidentemente in peggio per quanto concerne l’evoluzione climatica. Con il rischio, dunque, che a farne le spese siano anche le abitudini di consumo della prelibata bevanda.