Uno studio dell’Istituto Ramazzini di Bologna riapre un argomento molto discusso negli ultimi anni, ma sempre più controverso: i cellulari (e le radiazioni attraverso le quali si propagano i segnali) possono causare tumori?
Nel 2011, l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) ha classificato la radiazione a radiofrequenza (RFR) come un possibile agente cancerogeno per l’uomo. Secondo l’IARC, studi condotti su animali, così come studi epidemiologici (cioè sulla popolazione), dimostravano prove limitate di cancerogenicità.
Nel 2016, il National Toxicologic Program americano (NTP) ha pubblicato i primi risultati dei biotest a lungo termine sulla RFR a campo vicino, riportando una maggiore incidenza di tumori gliali maligni del cervello e schwannomi del cuore in ratti esposti a GSM e CDMA, radiazioni di radiofrequenze modulate per i cellulari. I tumori osservati nello studio dell’NTP sono simili a quelli osservati in alcuni studi epidemiologici sugli utilizzatori di cellulari.
In questo studio i maschi e le femmine sono stati esposti dalla vita prenatale fino alla morte naturale a radiazioni a campo lontano GSM da 1.8 GHz di dosi ambientali di 0, 5, 25, 50 V/m con esposizione “a corpo intero” per 19 ore al giorno. È bene notare che i livelli di esposizione utilizzati in questo studio sono inferiori al limite statunitense per la massima esposizione concessa alla popolazione e sono dell’ordine di grandezza dell’intensità delle esposizioni ambientali più comuni in Italia.
I risultati
I risultati dell’Istituto Ramazzini sull’esposizione a campo lontano confermano e rinforzano i risultati dell’NTP sull’esposizione a campo vicino, dal momento che entrambi hanno riportato un aumento nell’incidenza dei tumori del cervello e del cuore nei ratti Sprague-Dawley esposti alla RFR. Questi tumori sono dello stesso istotipo di quelli osservati in alcuni studi epidemiologici sugli utilizzatori di cellulari. Questi studi forniscono le prove sufficienti per richiedere una rivalutazione delle conclusioni dell’IARC riguardo il potenziale cancerogeno delle radiazioni a radiofrequenza sugli uomini.
Tempo di reagire
“Sebbene l’evidenza sia quella di un agente cancerogeno di bassa potenza, il numero di esposti è di miliardi di persone, e quindi si tratta di un enorme problema di salute pubblica, dato che molte migliaia potrebbero essere le persone suscettibili a danni biologici da radiofrequenze. Inoltre i nostri dati rafforzano la richiesta di adottare precauzioni di base a livello globale. Semplici misure sugli apparecchi, come un auricolare a molla incorporato nel telefono, oppure segnalazioni di pericolo sia nelle istruzioni che nella confezione di acquisto perché l’apparecchio venga tenuto lontano dal corpo. Certo non immagino che si possa tornare indietro nella diffusione di questa tecnologia, ma sono sicura che si possa fare meglio. La salute pubblica necessita di un’azione tempestiva per ridurre l’esposizione, le compagnie devono concepire tecnologie migliori, investire in formazione e ricerca, puntare su un approccio di sicurezza piuttosto che di potenza, qualità ed efficienza del segnale radio. Siamo responsabili verso le nuove generazioni e dobbiamo fare in modo che i telefoni cellulari e la tecnologia wireless non diventino rischi conosciuti e ignorati per decenni”, conclude Fiorella Belpoggi, direttrice dell’Area Ricerca dell’Istituto Ramazzini e leader dello studio.