“La profilazione genomica è una tecnica che, a livello virtuale, permette di valutare simultaneamente tutto il genoma umano. Noi possiamo con un singolo prelievo di un paziente oncologico, oppure colpito da un altro tipo di malattia, valutare tutte le sue lesioni genomiche. In modo pragmatico quello che stiamo facendo nella pratica clinica quotidiana è andare a valutare degli specifici geni. Geni che, secondo quanto emerge dagli studi, sappiamo coinvolti nello sviluppo del tumore e nel conferire al tumore un’aggressività maggiore, oppure che sono dei fattori predittivi: cioè quando è presente quel tipo specifico di lesione molecolare, possiamo verificare la possibilità di dare un farmaco specifico che migliorerà la prognosi dei nostri pazienti“. A spiegarlo è Giancarlo Pruneri, direttore di Anatomia Patologica, Fondazione Irccs Istituto nazionale tumori di Milano, in occasione di ‘Wired Health – Innovazione per la vita’, prima business conference di Wired Italia dedicata alle tecnologie per la salute.
“Le prospettive che abbiamo – osserva – sono quelle di saper gestire sempre meglio i ‘Big data’ che vengono generati. Ma non solo: oggi per verificare le alterazioni” genomiche di un tumore “abbiamo bisogno di un prelievo di tessuto del paziente, che può derivare da un intervento chirurgico o da una piccola biopsia. Ma già adesso è una realtà utilizzata nella pratica clinica lo studio della cosiddetta ‘biopsia liquida’. E’ naturalmente appena iniziato e avrà uno sviluppo enorme. Noi preleviamo del Dna dal sangue del malato e su questo possiamo verificare e fare gli stessi test“.
Un prelievo del sangue, fa notare Pruneri, “può essere fatto in qualsiasi situazione e soprattutto in modo ripetuto, si può quindi immaginare che tipo di sviluppo può avere questo strumento. I due obiettivi principali per noi sono quelli di verificare in questo modo lo sviluppo di resistenza ai farmaci e, soprattutto, la cosiddetta ‘recidiva molecolare’ cioè essere capaci di identificare la ricomparsa della malattia prima che questa diventi clinicamente evidente. Perché, se riusciamo a curare la malattia quando ancora è solo Dna nel sangue, ovviamente abbiamo molte più possibilità di combatterla adeguatamente“.
La tecnologia viene in aiuto. “Le piattaforme sono moltissime – chiarisce Pruneri a margine dell’incontro nel capoluogo lombardo – Bisogna pensare a questo sistema come a un computer. Noi possiamo avere tanti tipi diversi di hardware, varie tecnologie altamente performanti. E poi abbiamo il software, che riguarda la problematica dell’interpretazione del risultato, perché vengono prodotti milioni di dati. Quello che fa una realtà come Foundation Medicine, per esempio, è rivoluzionario. Mette insieme hardware e software, in un sistema affidabile che ha un valore aggiunto nell’interpretazione dei dati: stuoli di scienziati, non necessariamente medici ma anche fisici e bioinformatici, li analizzano e verificano quale specifica mutazione può conferire uno specifico difetto di crescita in un determinato tumore. Informazione che può essere utilizzata per curare ciascun malato“.
Alla fine dell’analisi, conclude, “noi sappiamo quali geni sono mutati e possono essere bersaglio, da un lato, di farmaci già nella pratica clinica, che sono circa una decina. Ma esiste poi una parte molto più ampia di possibilità che permette a specifici malati, con mutazioni anche rarissime presenti in meno dell’1% della popolazione, di essere inseriti in specifici trial clinici detti ‘a ombrello’. Studi che permettono l’inclusione di malati con diverse patologie che però hanno tutte la stessa lesione molecolare. Ciò permette di avere dei risultati su questi malati ma anche di identificare quali sono i farmaci che potranno poi essere usati in futuro“.
Tumori: nuove armi contro la recidiva
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