Un recente studio dei ricercatori dell’Icahn School of Medicine presso il Mount Sinai fornisce nuove informazioni sul collegamento tra malattie infiammatorie intestinali (IBD) e morbo di Parkinson che possono avere importanti implicazioni per il trattamento e la prevenzione di quest’ultimo.
Lo studio dimostra che le persone con IBD hanno il 28% di possibilità in più di sviluppare il Parkinson rispetto a coloro che non soffrono di IBD. Tuttavia, se curate con la terapia anti-TNF?, un anticorpo comunemente utilizzato per controllare l’infiammazione nei pazienti con IBD, il loro rischio di sviluppare il Parkinson diminuisce notevolmente e diventa addirittura più basso rispetto alla popolazione generale.
Inga Peter, ricercatrice principale dello studio, ha spiegato: “L’infiammazione sistemica è la componente principale delle IBD e si ritiene che contribuisca anche all’infiammazione neuronale trovata nella malattia di Parkinson. Abbiamo voluto determinare se la terapia anti-TNF? sia in grado di mitigare il rischio di sviluppare il morbo di Parkinson”. Il team di ricercatori ha rilevato una riduzione del 78% nell’incidenza della malattia tra i pazienti con malattie infiammatorie intestinali che sono stati curati con questa terapia rispetto a quelli che non avevano ricevuto lo stesso tipo di trattamento.
In precedenza, si pensava che le terapie anti-TNF? avessero effetti limitati sul sistema nervoso centrale, il sito in cui si trovano i meccanismi molecolari della malattia di Parkinson, perché le grandi molecole dei composti anti-TNF? non sono in grado di attraversare in maniera indipendente la barriera ematoencefalica. I risultati dello studio ora suggeriscono che potrebbe non essere necessario che il farmaco attraversi la barriera per curare o prevenire l’infiammazione all’interno del sistema nervoso centrale oppure che tale barriera nei pazienti con malattie infiammatorie intestinali potrebbe essere compromessa, permettendo alle grandi molecole del composto di attraversarla.
La malattia di Parkinson è tra le malattie neurodegenerative più comuni in età avanzata, colpendo circa l’1-2% delle persone di 60 anni o oltre. Peter ha concluso: “Le terapie attuali per il Parkinson si concentrano solo sul miglioramento dei sintomi. I nostri risultati forniscono spunti promettenti che supportando ulteriori studi su come la riduzione dell’infiammazione sistemica possa aiutare a curare o prevenire la malattia di Parkinson”.