“L’Italia è un Paese a bassa endemia di tubercolosi: da qualche anno si registrano circa 7 casi per 100.000 abitanti. Quando però un caso di Tbc si verifica in una scuola, scattano una serie di misure per contenere la diffusione del bacillo”. A spiegarlo all’AdnKronos Salute è Laura Lancella, responsabile Malattie infettive ad alta complessità dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma, che sta seguendo il caso di Tbc alla scuola media Morandi di Monteverde.
Nell’istituto, in seguito alla segnalazione di un caso di Tbc polmonare in un’insegnante, è stata avviata dalla Asl Roma 3 una campagna di screening fra gli alunni con il test Mantoux, cui sta collaborando l’ospedale del Gianicolo. L’organizzazione prevede lo screening di tutti gli alunni della scuola, a un ritmo di 4 classi a settimana.
“La possibilità che la Tbc si verifichi in una scuola c’è sempre. Bisogna dire che se l’adulto con espettorato positivo è sicuramente contagioso, bambini e adolescente lo sono in modo ridotto. La trasmissione avviene per via aerea e ci deve essere un contatto di almeno 8 ore cumulative con il caso indice”, dice Lancella.
Cosa fare allora? “Dopo una segnalazione si procede all’identificazione dei contatti, i soggetti entrati in contatto con il paziente, e al test. Se c’è positività al test si esegue una Rx torace perché la prima localizzazione è a livello del polmone: se l’esame è negativo non c’è malattia ma solo ‘sensibilizzazione’, e il soggetto andrà trattato con un antibiotico a scopo di profilassi.
In caso contrario, invece, si useranno quattro tipi di antibiotici diversi. Attenzione: l’infezione non è contagiosa, la malattia polmonare tubercolare nella stragrande maggioranza dei casi sì”. Insomma, il contatto con un caso di Tbc “è una cosa, il contagio un’altra – sottolinea l’esperta – La buona notizia è che, dopo decenni in cui la malattia segnava un incremento costante, nel nostro Paese ormai dal 2008 c’è stata una graduale riduzione e l’Italia è a bassa endemia. Ad ammalarsi di più sono gli anziani e le persone immigrate, che arrivano da Romania, ma anche Paesi asiatici e africani ad alta endemia. Questo perché nel nostro Paese sono costrette a vivere in condizioni socioeconomiche tali da ‘slantetizzare’ l’infezione”, conclude l’esperta.