“L’epidemiologia dell’epatite C è la nota dolente del nostro Paese. I numeri veri dei casi italiani purtroppo non li conosciamo. I dati esistenti sono vecchi, riferiti a studi ormai superati realizzati in aree limitate e oggi davvero poco affidabili. L’unica cosa che noi conosciamo è il numero dei pazienti già diagnosticati, circa 350 mila, dei quali circa 130 mila già trattati con i nuovi farmaci”. Lo spiega Stefano Fagiuoli, direttore Unità Complessa di gastroenterologia, epatologia e trapiantologia, Asst Papa Giovanni XXIII di Bergamo dal congresso dell’Associazione europea per gli studi sul fegato (Easl) in corso a Parigi.
Fagiuoli contesta, insieme ad altri colleghi italiani, il numero di infezioni hcv riproposto in questi giorni in sede congressuale – e basato numeri molto datati e ormai considerati dalla comunità scientifica non affidabili – che si attesterebbe a circa 2 milioni: “Considerando il sommerso si potrebbe arrivare a una stima di massimo 500 mila”, dice l’esperto. “Noi abbiamo il compito – continua Fagiuoli – di continuare a trattare i pazienti conosciuti ma, contemporaneamente, bisogna cercare di definire la migliore politica in grado di far emergere il sommerso che, in tutta onestà, oggi possiamo solo stimare con un margine di errore troppo grande”.
“Possiamo pensare che ci siano un 30-40% di infezioni hcv in più rispetto a quelle che conosciamo? E’ un esercizio puramente teorico – aggiunge Fagiuoli – Quello che conta invece è che, se vogliamo, come si è impegnato a fare il nostro Governo, per affrontare il problema del l’eliminazione del virus dell’epatite C abbiamo solo una strada da percorrere: lo screening di popolazione, non delle categorie a rischio ma di tutta la popolazione. E’ un impegno sociale importante. E sarà una scelta decisiva perché o si fa lo screening per tutti oppure si rinuncia al concetto di eliminazione definitiva e ci si accontenta del controllo dell’infezione, ossia fare in modo che il numero di casi che comportano malattie gravi, in prospettiva, sia sempre minore”.
L’eliminazione, insomma, comporta il coinvolgimento dell’intera popolazione. “Il fallimento della politica americana – precisa Fagiuoli – che ha puntato a screenare solo i baby boomers lo dimostra: si è capito che, alla fine, si è identificato solo un gruppo a rischio ma che molti altri serbatoi sfuggono. La Francia, invece, ha avviato una campagna che addirittura anticipa al 2025 l’ipotesi di eliminazione. Nei prossimi due anni, almeno una volta nella vita, ciascun cittadino francese sarà sottoposto a screening, al momento in cui entra in contatto con il servizio sanitario. Questa è una strategia concreta se l’obiettivo è l’eliminazione”.