Birra, lecca lecca, cioccolata, pasticcini, olio. Con un ingrediente in comune: la cannabis. E’ un “mercato iperattivo quello della canapa che offre una varietà di prodotti, dalle magliette agli alimenti di ogni genere. E ancora semi da collezione, infiorescenze da esposizione e tanto altro. Si è acceso un forte interesse oggi su questo fronte, si vende qualunque cosa”, osserva Enrico Davoli, tossicologo ambientale, che all’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano dirige il Laboratorio di spettrometria di massa.
La sua curiosità da scienziato – spiega all’AdnKronos Salute – è scattata in occasione di un recente festival internazionale dedicato alla cannabis. “C’erano ampi spazi di vendita di prodotti a base di canapa, compresi alimenti e bevande“. Il ricercatore ha pensato di metterne alcuni sotto la lente in laboratorio.
“Una prima analisi che ho condotto – racconta – è quella che si utilizza per la cannabis terapeutica, quando si fa un preparato in farmacia. Ho quindi preso alcuni alimenti e li ho analizzati secondo la normativa. Sulla base di questo screening, in tutti i prodotti esaminati non c’era traccia di canapa, il risultato era zero, quindi inferiore al limite di sensibilità della strumentazione”. A questo punto l’esperto ha continuato ad approfondire.
“Insieme a colleghi dell’università di Torino, con strumenti completamente diversi ho analizzato alcuni prodotti – dal formaggio alla farina – in cui erano stati usati semi. E in questo caso sono state rilevate tracce del principio attivo Cbd, ma non di Thc, tra 20 e 40 parti per milione”.
“In tutti gli altri prodotti testati, cercando sia Thc che Cbd, e alcuni terpeni principali, con un limite di sensibilità di 5 parti per miliardo, non c’era niente – prosegue Davoli – Quindi o erano prodotti che non avevano proprio visto la canapa, oppure contenevano scarti industriali, tipo il fusto della pianta”.
Lo scienziato ha fatto cenno ai test in occasione della ‘Prima Conferenza italiana sulla cannabis come possibile farmaco’, che si è tenuta oggi al Mario Negri, per introdurre una riflessione: “Oggi si parla tantissimo di cannabis sotto varie etichette e si è creata una certa confusione. Si parla di uso terapeutico, di cannabis legale, di farmaci. La gente si è fatta l’idea che la cannabis in generale fa bene un po’ per tutto. ‘Quindi la prendo’, è il ragionamento”.
E, d’altra parte, “c’è un mercato sfrenato in cui si vende di tutto – osserva Davoli – Se va bene, si compra qualcosa con niente dentro. Se va male, quando il mercato a cui ci si rivolge è quello abusivo, ci si può imbattere in infiorescenze spruzzate con sostanze. I nostri figli possono arrivare a pensare: ‘Compro la canapa legale, me ne fumo 10 volte tanto e ho gli stessi effetti di quella illegale'”.
Sul fronte terapeutico, invece, “c’è ancora da studiare. Pensiamo a un farmaco che è un estratto della pianta: oltre ai principi attivi Cbd e Thc ci sono anche altri fitocannabinoidi. Allora bisogna chiedersi: gli eventuali effetti sul paziente a cosa sono dovuti? Sono legati al singolo principio attivo, a effetti sinergici di Thc e Cbd, a un eventuale altro fitocannabinoide che presente in tracce ha molto più effetto?”. “Approfondire questi e altri aspetti – conclude il ricercatore – è uno dei motivi per cui servono studi clinici controllati, parlando dell’ambito scientifico. Mentre per l’opinione pubblica la chiarezza nell’informazione deve essere la base di tutto”.