Tumori, indagine su 100 donne: 1 su 2 condivide la malattia sui social

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“In questi anni è cambiato il mondo e anche la comunicazione. E’ cresciuto l’impatto della Rete. Di tumore si parla sui social, la malattia si condivide per combattere solitudine e senso di isolamento, ma ci si informa anche sul web”. Non sempre con effetti positivi.

“Se va bene, noi medici ci troviamo davanti pazienti più informate di un tempo e il nostro compito diventa guidarle. Se va male, dobbiamo recuperarle da strade sbagliate che non portano da nessuna parte o sono pericolose”. E’ la testimonianza di Paolo Veronesi, direttore del Programma di senologia dell’Istituto europeo di oncologia di Milano.

Occasione: l’incontro ‘Ieo per le donne’, che ogni anno riunisce nel capoluogo lombardo mille pazienti con tumore al seno che si sono curate nell’Irccs di via Ripamonti. Nata 11 anni fa e fortemente voluta dall’oncologo Umberto Veronesi, morto nel novembre 2016 alla soglia dei 91 anni, la giornata è dedicata all’ascolto.

Perché ascoltare, ripeteva spesso lo scienziato ricordato anche oggi fra gli applausi delle ospiti nella platea del Teatro Manzoni, “è parte della cura”. E nel tempo le donne coinvolte in questa giornata hanno superato quota 10 mila, da tutto il Paese. Quest’anno i promotori hanno deciso di indagare, con un sondaggio pilota somministrato alle mille partecipanti 2018, sul rapporto fra cancro e social.

Dalle loro risposte emerge che quasi una su due – il 47,4% – li utilizza per condividere la sua esperienza di malattia, contro il 52,6% che invece non lo fa. Ma, a sorpresa, il giudizio sull’utilità di questi strumenti non è sempre benevolo. Alla domanda se i social abbiano migliorato il vissuto della malattia, emergono luci e ombre. Chi riconosce un impatto positivo elenca in ordine di priorità la maggiore conoscenza.

I social “ti dicono cosa ti aspetta, danno notizie sulle novità in ricerca e cura, oltre a informazioni pratiche”. C’è poi il tema della condivisione: sono un mezzo per sfogarsi, ricevere comprensione, conforto, coraggio, energia, amicizia. E ancora: riducono la solitudine, distraggono dalla propria vita reale. Ma c’è anche chi la vede diversamente: i social – osserva chi non trova un miglioramento nel vissuto della malattia – propagano informazioni dannose se non controllate dallo specialista, generano ansia, non possono sostituire la condivisione del dolore nella vita reale e l’elaborazione personale.

E in un’era in cui si moltiplicano gli allarmi sulla circolazione di ‘fake news’ in Rete, c’è chi ha deciso di correre ai ripari, dandosi delle regole precise. Lo ha fatto il gruppo Facebook ‘Le Guerriere Official – Insieme contro il tumore al seno’.

“L’esperienza è nata quasi come un segreto nel 2015, attorno a un medico – racconta Laura dal palco di Ieo per le donne – Si entrava su invito, poi un anno fa si è deciso di aprire di più. Ora abbiamo deciso di ristrutturare il gruppo, con regole finalizzate a garantire l’affidabilità delle informazioni e ad evitare che i post che circolano al suo interno generino ansia”.

Le ‘guerriere’ hanno così cominciato a filtrare, a verificare l’attendibilità delle fonti, hanno accentuato il rispetto della privacy scegliendo la formula di un gruppo chiuso e “selezionato all’ingresso”, composto da soli 127 membri. “I contenuti che mettiamo nelle rubriche arrivano da persone e da istituzioni attendibili, come l’Istituto superiore di sanità o medici. Rivolgiamo un invito ai clinici, ci piacerebbe averne tra noi”.

Sempre dal sondaggio Ieo emerge che più di un terzo fra le donne che usano i social – il 36,4% – appartiene a un gruppo Facebook collegato alla lotta al tumore. Facebook, sottolinea Laura, “è uno strumento, non il fine. E’ il punto di partenza. Non è per noi solo una realtà virtuale, perché poi diventa reale. Ci sono nel gruppo persone che sento al telefono tutti i giorni. Ci si incontra dal vivo, negli eventi che organizziamo a Milano. Il punto è che con mariti, figli, colleghi, spesso ci sentiamo malate. Con chi è come te, diventi semplicemente una persona”.

Dall’indagine, l’Irccs ha anche estrapolato la risposta che a suo avviso ha fatto riflettere di più. Protagonista dottor Google, “che spiega quello che i medici non dicono, per mancanza di tempo, per interesse diverso e per diversa prospettiva. Il medico deve chiudere il discorso, non aprirlo, e la sensazione di fretta che respira un malato viene calmata dal computer”.

Peccato però, osserva Veronesi, che sul web non viaggiano solo informazioni controllate e attendibili: “Chi scrive con l’intento di far gioco ai propri interessi sa bene che tasti schiacciare per convincere i malati”, è il monito. “La strada maestra è quella scientifica, ma piace meno. Spesso si devono fare i conti con gli effetti collaterali dei farmaci e questo non aiuta. Il nostro compito è andare avanti con la ricerca”.

In ogni caso, “curare il corpo non basta. Come ci ha insegnato Umberto Veronesi, i chirurghi possono togliere il cancro dall’organo colpito, ma poi nella mente rimane una ferita, un trauma che bisogna riuscire a tirare fuori”, riflette Gabriella Pravettoni, direttrice della Psiconcologia dell’Ieo. “Raccontare è il punto di partenza, ma il trauma va anche elaborato. E la malattia può diventare opportunità da cui trarre nuova energia per migliorare la propria vita. Può iniziare un percorso di cambiamento”. Non è un caso il tema scelto quest’anno per l’incontro: tornare a vivere è molto più che sopravvivere. Lo hanno raccontato in più modi le protagoniste di Ieo per le donne: da Gigliola che voleva tornare a danzare e a 2 mesi dall’intervento ci è riuscita, fino a Claudia, prof in pensione che oggi guida i volontari dell’Ieo.

Cosa vogliono le donne in lotta col cancro? “Più attenzione per i temi del lavoro, più progetti a sostegno delle pazienti anche al Sud, più impegno per città meno inquinate”. Sono gli spunti di riflessione emersi dai racconti della giornata, che in alcuni momenti hanno lasciato spazio anche alle risate, con gli interventi degli attori Lella Costa, Carla Signoris e Fabio De Luigi.

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