Una piccola protuberanza di fianco a Plutone, corrispondente a dei punti su un’immagine da telescopio: così, Caronte, quarant’anni fa, si mostrò allo sguardo degli studiosi su una foto granulosa. Il 22 giugno del 1978, James Christy, astronomo presso l’U.S. Naval Observatory a Flagstaff, in Arizona, era impegnato a definire ulteriormente l’orbita di Plutone intorno al Sole, quando notò un piccolo rigonfiamento su un versante di quello che oggi è classificato come pianeta nano, ma che all’epoca era ancora il nono pianeta del Sistema Solare. Controllando altre immagini, l’astronomo si rese conto che il turgore si spostava e pareva muoversi intorno a Plutone; Christy pensò alla presenza di una montagna particolarmente elevata oppure ad un satellite naturale in orbita sincrona, anche se fino a quel momento non era emerso nessun indizio in merito ad un sistema di lune intorno al pianeta.
Lo scienziato – spiega Global Science – si slanciò in ulteriori ricerche nell’archivio fotografico dell’osservatorio, trovando una serie di immagini in cui Plutone sembrava stranamente allungato. A questo punto Christy cominciò ad effettuare delle misurazioni dell’angolo dove, da nord, si presentavano gli allungamenti, coinvolgendo nei calcoli anche il collega Robert Harrington. Per confermare l’ipotesi di un satellite naturale, i due ricercatori dovettero confrontare le loro simulazioni con nuove osservazioni, effettuate il 2 luglio del 1978 con il telescopio dell’U.S. Naval Observatory. I dati raccolti confermarono la loro ipotesi e la scoperta del nuovo corpo celeste, inizialmente designato come S/1978 P 1, fu annunciata ufficialmente cinque giorni più tardi. All’epoca il vero volto di Caronte, che ricevette il suo nome ufficiale solo alla fine del 1985, non era noto e gli studiosi ipotizzavano che non avesse particolari caratteristiche fisiche a parte essere costellato da crateri da impatto. Solo nel luglio 2015, quando la sonda New Horizons della Nasa raggiunse il sistema di Plutone, fu possibile avere un ritratto chiarificatore dell’aspetto della luna.
Passando ad una distanza di circa 29mila chilometri, la sonda ha infatti potuto immortalare Caronte che ha mostrato un aspetto fisico piuttosto articolato: montagne, una rete di fratture e canyon che si estende per oltre 1600 chilometri e una singolare colorazione rossa al polo settentrionale. Una volta ottenuto un ritratto ben definito, gli studiosi hanno cercato di chiarire l’origine delle caratteristiche più rappresentative di Caronte. Secondo gli esperti, i canyon sono indicativi di una passata ed intensa attività geologica e farebbero pensare anche ad un oceano sub-superficiale che, una volta ghiacciatosi, avrebbe dato luogo a queste spaccature. La colorazione rossa del polo nord, invece, sarebbe dovuta all’influenza di Plutone. Il metano presente nell’atmosfera del pianeta nano sfugge e viene catturato dalla forza di gravità di Caronte, congelandosi sulla superficie ghiacciata del polo; a questa ‘fuga’ di metano, per gli studiosi, segue un processo chimico dovuto alla luce ultravioletta del Sole che trasforma il gas in idrocarburi più pesanti e infine in materiali organici di colore rossastro, denominati toline. Quindi, grazie agli strumenti di New Horizons, il blob granuloso che era Caronte nel 1978 si è trasformato in un vero e proprio mondo, ricco di peculiarità interessanti da studiare per conoscere al meglio quest’area remota del Sistema Solare.