Fuego in Guatemala è uno dei vulcani più attivi dell’America centrale. Per anni ha sbuffato con continuità, con episodi di attività esplosiva, grandi nubi di cenere, flussi di lava e flussi piroclastici, ossia valanghe di detriti vulcanici.
Poco prima di mezzogiorno (ora locale) del 3 giugno scorso, il vulcano ha prodotto un’eruzione esplosiva che ha portato la cenere fino a 15 km di altezza. Un mix letale di cenere, frammenti di roccia e gas incandescenti si è riversato lungo le pendici del vulcano. Poiché i flussi piroclastici spesso si muovono a velocità superiori a 80 km/h, sono in grado di abbattere facilmente alberi, case e qualsiasi cosa si frapponga nel loro cammino. Sono 75 le vittime accertate finora, mentre migliaia di persone sono state evacuate.
Oltre alla cenere, i pennacchi contengono componenti gassosi invisibili all’occhio umano, come il diossido di zolfo. Il gas può influenzare la salute, irritando gola e naso se inspirato, e reagisce con il vapore acqueo, dando origine a piogge acide.
I sensori satellitari come l’Atmospheric Infrared Sounder (AIRS) sul satellite Aqua e l’Ozone Mapping Profiler Suite (OMPS) sul Suomi NPP realizzano frequenti osservazioni del diossido di zolfo. La mappa mostra concentrazioni di diossido di zolfo nella media troposfera ad un’altitudine di 8 km il 3 giugno.
Utilizzando i dati raccolti diverse ore dopo l’eruzione, gli esperti affermano che quella è stata la quantità più alta di diossido di zolfo misurata in un’eruzione di Fuego nell’era satellitare, cioè a partire dal 1978, e che probabilmente è l’eruzione più grande del vulcano dalla quella violenta del 1974.