L’economia circolare offre ampi spazi alle imprese per ripensare il proprio modo di innovare e di competere e in questo percorso un ruolo decisivo lo possono dare le tecnologie ricomprese nell’ambito di Industria 4.0, dalla manifattura additiva all’Internet delle cose (IoT). L’imprenditore dell’economia circolare però è un innovatore “solitario” che crea sviluppo in sinergia con gli enti di ricerca, crea lavoro e nuove professionalità, senza godere di un adeguato sostegno economico, normativo e d’impresa.
A scattare la fotografia è l’indagine sulle Opportunità di Business e di innovazione dell’economia circolare e l’industria 4.0 realizzata dal Laboratorio Manifattura Digitale del Dipartimento di Scienze economiche e aziendali dell’Università di Padova e Legambiente. L’indagine è stata presentata a Roma, nel corso della prima giornata dell’ ‘EcoForum 2018. L’economia circolare dei rifiuti’ ed è stata realizzata sulle prime 50 imprese tra le 231 identificate tra quelle manifatturiere che praticano l’economia circolare.
In particolare, dal rapporto emerge che il principale modello di business praticato è legato al recupero delle risorse (per 30 imprese, pari al 61,2%) o alla fornitura di input di natura circolare (15 imprese, 31,6%). Le principali motivazioni sono di natura etica e di responsabilità sociale d’impresa (89,6%) ovvero legate al mercato (aumento del valore del prodotto offerto, 81,2%), mentre il principale beneficio conseguito è legato al miglioramento della reputazione aziendale (86,6%).
Le imprese hanno investito soprattutto nelle attività di marketing e commerciali (61,7%) e nelle attività di ricerca e sviluppo e rinnovo del proprio portafoglio prodotti (47,9%). Il 52% delle imprese dichiara che l’occupazione è aumentata a seguito dell’adozione di pratiche di economia circolare, attraverso sia l’assunzione di nuove figure professionali tecniche sia l’aggiornamento delle risorse interne (tecniche e amministrativo/gestionali).
L’investimento sul fronte dell’economia circolare è avvenuto in prevalenza con capitale proprio per l’80% delle imprese, attraverso la collaborazione con fornitori di materiali (57,8%) e università o centri di ricerca pubblici (48,9%), mentre risulta molto minoritario il ruolo di altri attori istituzionali (es. associazioni di categoria).
Le principali difficoltà non sono di natura tecnologica, quanto piuttosto legate ad una legislazione inadeguata o contraddittoria (48,9%) oppure connesse al prezzo dei prodotti “circolari” realizzati (48,9%), in cui il mercato spesso non è in grado di riconoscere, e quindi essere disposto a pagare, il reale valore, basato non solo su risorse che sono riutilizzate o riciclate (quindi apparentemente a basso costo), ma anche ad un vero e proprio processo di innovazione che ne sta alla base.
Il 25% delle imprese investe in una o più tecnologie industria 4.0, prevalentemente per motivazioni di mercato (miglior servizio al cliente). L’impatto maggiore di tali tecnologie sul fronte ambientale riguarda la capacità di misurare e monitorare gli input utilizzati, grazie al ruolo giocato in particolare da soluzioni connesse a big data e cloud.
Nel nostro Paese, afferma il presidente nazionale di Legambiente, Stefano Ciafani, “l’economia circolare è già una realtà in diversi territori grazie al lavoro prezioso di istituzioni, società pubbliche e aziende private virtuose. Ma per far decollare il settore serve rimuovere gli ostacoli non tecnologici ancora presenti nel nostro Paese. La burocrazia asfissiante, l’inadeguatezza di alcuni enti pubblici, le autorizzazioni sbagliate, i decreti ‘end of waste’ sulle materie prime seconde che non arrivano mai, il mancato consenso sociale per la realizzazione dei fondamentali impianti di riciclo sono questioni che vanno affrontate una volta per tutte per voltare pagina in tutto il territorio nazionale“.
Secondo Ciafani “solo così riusciremo a mantenere una leadership europea sull’economia circolare conquistata grazie ad alcuni attori visionari e coraggiosi che ora devono essere affiancati da tutti gli altri che ancora non hanno imboccato la strada dell’innovazione e del futuro”.
“Le imprese di raccolta e di rigenerazione che fanno parte del Consorzio nazionale per la gestione, raccolta e trattamento degli oli minerali usati hanno dato vita negli anni a una filiera virtuosa che è oggi tra i principali operatori dell’economia circolare italiana” spiega il presidente del Conou, Paolo Tomasi. Nel nostro Paese “la quasi totalità dell’olio lubrificante usato viene raccolto, e il 98% è avviato a riciclo tramite rigenerazione: dati che confermano la leadership italiana nella gestione di questo rifiuto pericoloso“. Eppure, come accade anche per altre attività produttive di eccellenza, “anche il Consorzio sente un forte bisogno di riferimenti che consentano al Paese di affrontare le sfide dei prossimi anni: lo sviluppo tecnologico sarà una chiave decisiva e andrà gestita la complessità globale; servirà quindi una politica forte, che sia in grado di fornire un orientamento chiaro e di guidare il cambiamento”.
“Il quadro della situazione delle imprese dell’economia circolare che emerge dalla ricerca è paradigmatico della situazione del nostro Paese” commenta il vicepresidente del Kyoto Club Francesco Ferrante. “E non poteva essere diversamente essendo quelle prese in esame le realtà imprenditoriali più dinamiche. Il talento, le capacità innovative, l’impegno sulla responsabilità sociale delle nostre imprese migliori ci indicano la strada da battere per uscire da una crisi troppo lunga. Ma fino ad oggi sono sforzi “solitari” che nessuno è riuscito a ‘mettere a sistema’, garantendo un quadro normativo a livello nazionale e locale che consenta a questi ‘campioni’ dell’economia circolare di diventare dei veri modelli da seguire per tutti” conclude Ferrante.
L’imprenditore dell’economia circolare, un innovatore “solitario”
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