Il vento solare è più violento del previsto: il suo flusso di particelle elettricamente cariche, che viene in gran parte bloccato dall’atmosfera e dal campo magnetico terrestri, finisce invece per bombardare gli altri corpi celesti del Sistema solare, erodendo le rocce più superficiali con una potenza che finora è stata sottovalutata dai modelli teorici degli astrofisici.
A indicarlo è lo studio pubblicato sulla rivista Icarus dall’Università Tecnica di Vienna, i cui risultati aiuteranno a pianificare la prima missione europea su Mercurio, Bepi Colombo, prevista per ottobre.
“Il vento solare è formato da particelle cariche, per lo più ioni di idrogeno ed elio – spiega il fisico Friedrich Aumayr – ma anche atomi più pesanti giocano un ruolo importante”. Le particelle del vento solare arrivano sulla superficie dei corpi celesti ad una velocità che va dai 400 agli 800 chilometri al secondo: gli atomi che schizzano via durante il ‘bombardamento’ finiscono per formare una sottilissima atmosfera (chiamata ‘esosfera’) che è molto preziosa per studiare la composizione geologica del pianeta.
“Finora si pensava che l’energia cinetica di queste particelle veloci fosse la principale responsabile dell’atomizzazione delle rocce, ma questo è solo una parte della verità”, spiega Paul Szabo, primo autore dello studio.
“Noi siamo riusciti a dimostrare che l’elevata carica elettrica delle particelle gioca un ruolo decisivo. Questo è il motivo per cui possono fare più danni del previsto: se non ne teniamo conto, rischiamo di sottovalutare gli effetti del vento solare”. ‘Ritoccare’ i modelli che descrivono il fenomeno sara’ dunque cruciale in vista della missione Bepi Colombo che l’Agenzia spaziale europea (Esa) lancerà ad ottobre in collaborazione con l’omologa giapponese Jaxa.
L’obiettivo è raggiungere il pianeta più piccolo e interno del Sistema solare nel 2025 con due sonde (il Mercury Planetary Orbiter e il Mercury Magnetospheric Orbiter) per studiarne la composizione chimica e geologica.