“Oggi la priorità è studiare i tumori dei pazienti in maniera approfondita, in modo da capire per ogni singolo tumore qual è l’opzione migliore”. E’ il punto di partenza per spingere in avanti le potenzialità della medicina di precisione secondo Antonio Iavarone, scienziato tricolore in forze alla Columbia University di New York.
Un esempio di questa attività di analisi sui tumori è uno studio di fase II presentato in una sessione orale al meeting annuale dell’American Society of Clinical Oncology (Asco), in corso fino a domani a Chicago.
Il lavoro riporta alcuni risultati ottenuti con un maxi programma del National Cancer Institute statunitense che si chiama ‘Match’, cioè analisi molecolare per la scelta delle terapie. Si tratta di un trial nel quale ai pazienti viene assegnato un trattamento basato sui cambiamenti genetici trovati nei loro tumori attraverso il sequenziamento genomico e altri test.
Nello studio presentato all’Asco si sono valutate le risposte dei pazienti con aberrazioni di Fgfr (recettori del fattore di crescita dei fibroblasti) a un inibitore selettivo mirato a questo bersaglio, Azd4547.
“E’ un basket trial – spiega Iavarone all’AdnKronos Salute – che include più tumori e ha mostrato come la migliore predizione di risposta al farmaco preso in esame sia data proprio dalla fusione genica Fgfr3-Tacc3, che noi abbiamo scoperto inizialmente nel glioblastoma”.
Una scoperta che diventa così una speranza ‘jolly’ per più forme tumorali, considerato che “si è poi visto che questa specifica fusione di geni è presente un po’ in tutti i tumori. Si parla sempre di percentuali molto basse, ma quando è presente quei pazienti beneficiano più degli altri di terapie con questi inibitori di Fgfr. Si ha quindi un immediato risvolto terapeutico”.
Ma il lavoro mette anche in evidenza la complessità alla base della medicina di precisione. “Prendiamo i gliomi”, tumori cerebrali. “L’idea – prosegue Iavarone – è quella di stratificare in maniera quanto più omogenea piccoli gruppi di pazienti. Perché se c’è anche un 3% che può beneficiare di una determinata terapia, significa che si devono identificare quali sono questi malati. Se non si fa un simile lavoro iniziale e si cerca, come si fa ancora, di dare la stessa terapia a tutti, ci si trova davanti a un paio di risposte senza capire cosa le ha guidate”.
L’esperto italiano ha dedicato anni di studio proprio al glioblastoma, aggressivo tumore del cervello. Della malattia si è parlato al summit Usa, anche in relazione alla possibilità di un vaccino immunoterapico.
“Ma finora non ci sono risultati in grado di imprimere una svolta – commenta Iavarone – E in prospettiva guarderei ai vaccini più mirati e specifici. A Chicago si è discusso per esempio di vaccinazione ‘patient based’: si va a vedere in ciascun malato quali sono le mutazioni presenti, che generano una non risposta, e poi si confezionano dei peptidi ad hoc. Su questo non sono stati ancora presentati risultati clinici, ma solo dimostrazioni del principio. Se non altro è meritevole l’idea di vaccini personalizzati e la vedo come una speranza maggiore rispetto a vaccini meno mirati che si fanno da tempo senza grandi risposte”.
L’approccio immunoterapico, “che ha dato dei risultati ormai in maniera stabile per esempio nel melanoma e in altri tumori – ricorda lo scienziato – è quello dei ‘checkpoint inhibitors’. Anche nei glioblastomi si è parlato molto di questo. E’ probabile che ci sia una piccola percentuale di pazienti che può beneficiare di questo tipo di immunoterapia, ma finora i risultati sono molto scarsi. Di immunoterapia se ne stanno facendo in diverse forme. Si sta provando a fare anche le Car-T per il glioblastoma”.
Resta un problema, conclude Iavarone, “e riguarda i trial clinici, che vengono ancora fatti senza nessuna selezione dei pazienti. Si prendono tutti i malati con glioblastoma, si includono e si vede come va, ma poi non si riesce a capire perché si ottengono un paio di risposte positive, proprio per il fatto che non si sono studiate le caratteristiche del tumore. Una cosa che stiamo facendo è proprio di riprendere questi trial e andare a capire quali sono le caratteristiche immunitarie del tumore nei pazienti che hanno risposto alle terapie. Stiamo quindi rivedendo le sequenze tumorali per capire perché“.