Al lavoro per un vaccino contro il tumore al cervello più aggressivo e letale. E anche contro il glioblastoma una nuova arma potrebbe arrivare dal campo dell’immunoterapia, che punta a mobilitare le difese naturali dell’organismo scagliandole contro il cancro.
Si tratta di un vaccino progettato per controllare la crescita e la ripresa della malattia e protagonista di uno studio multicentrico di fase II. I risultati intermedi sono stati presentati a Chicago al meeting annuale dell’American Society of Clinical Oncology da Manmeet Ahluwalia, neuro-oncologo del Cleveland Clinic Cancer Center (Ohio).
Mentre un altro fronte di ricerca riguarda la possibilità cure guidate dal Dna del tumore e quindi più mirate per questi pazienti. I primi risultati presentati sul vaccino (SurVaxM) appaiono promettenti. Il suo bersaglio è la survivina, proteina che ha un ruolo nella sopravvivenza cellulare ed è presente nella maggior parte dei tumori. Il vaccino è stato utilizzato in pazienti con glioblastoma di nuova diagnosi, insieme ai trattamenti classici.
L’analisi dei primi 55 casi trattati ha mostrato una sopravvivenza libera da progressione del 96,3% misurata a partire dalla diagnosi e del 62,8% dalla prima immunizzazione. La sopravvivenza globale a 12 mesi era del 90,9% dalla diagnosi e del 70,8% dalla prima immunizzazione.
Il regime è stato generalmente ben tollerato, spiegano gli autori dello studio, e gli eventi avversi correlati sono stati lievi senza. Per i ricercatori ”aggiungere il vaccino al trattamento previsto per questi pazienti sembra promettente”, e sembra dare risultati migliori rispetto alla sola terapia standard. Ora è in programma un trial prospettico su questa nuova frontiera terapeutica.
Mentre è in campo anche uno sforzo collettivo per rendere concreta la prospettiva di cure guidate dal Dna. E’ caccia ai driver genetici del tumore. Un gruppo di scienziati di diverse istituzioni è al lavoro su questo con un progetto che si chiama Allele. L’obiettivo è capire se usare il Dna tumorale come guida nell’identificazione di terapie al bersaglio possa migliorare i risultati per questi pazienti. Una via che permetterebbe anche di individuare pazienti con le caratteristiche giuste per essere inseriti in sperimentazioni cliniche aperte.