Sempre più pazienti colpiti da tumore del polmone in stadio avanzato potranno beneficiare dell’immunoterapia in prima linea, grazie agli ottimi risultati ottenuti con pembrolizumab sia in monoterapia che in combinazione con la chemioterapia, in entrambe le istologie (squamosa e non squamosa). È quanto dimostrano gli studi di fase III con pembrolizumab, KEYNOTE-042 e KEYNOTE-407, presentati al 54° Congresso dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO) in corso a Chicago.
In particolare, i risultati dello studio KEYNOTE-042, mostrati oggi in sessione plenaria, hanno evidenziato che pembrolizumab in monoterapia in prima linea, migliora significativamente la sopravvivenza globale rispetto alla chemioterapia anche in presenza di una bassa espressione del biomarcatore PD-L1 (uguale o superiore all’1%).
Nello studio sono stati arruolati 1.274 pazienti colpiti dalla forma più frequente di tumore del polmone, quella non a piccole cellule (NSCLC, non small cell lung cancer) con istologia squamosa o non-squamosa.
“Questo studio dimostra che la monoterapia con pembrolizumab funziona non solo nei pazienti con alta espressione di PD-L1 (? 50%) ma anche in condizioni di minore espressione di questo biomarcatore (PD-L1 compreso tra 1% e 49%) – spiega il prof. Filippo de Marinis, Direttore della Divisione di Oncologia Toracica all’Istituto Europeo di Oncologia (IEO) di Milano -. Pembrolizumab può essere considerato la prima applicazione del concetto di medicina di precisione all’immunoterapia nel tumore del polmone. Lo studio mostra un beneficio maggiore con pembrolizumab rispetto al trattamento standard nei due terzi delle persone colpite dalla più comune forma di tumore del polmone. Quindi un ampio numero di pazienti colpiti da questa neoplasia in fase avanzata potrà avere a disposizione una nuova opzione di trattamento con maggiore efficacia e minori effetti collaterali della chemioterapia”.
I risultati del secondo studio, il KEYNOTE-407 che ha coinvolto 559 pazienti, hanno confermato per la prima volta l’efficacia di un farmaco anti PD-1 in combinazione con la chemioterapia (carboplatino-paclitaxel o nab-paclitaxel) in pazienti con NSCLC, metastatico con istologia squamosa. A questa analisi ad interim lo studio ha dimostrato che pembrolizumab + chemioterapia migliora in maniera significativa la sopravvivenza globale, la sopravvivenza libera da progressione e le risposte rispetto alla sola chemioterapia. In questo studio la combinazione di pembrolizumab e chemioterapia ha ridotto del 36% il rischio di morte rispetto alla sola chemioterapia.
In entrambi gli studi, inoltre, viene confermato il profilo di sicurezza di pembrolizumab: gli eventi avversi gravi si sono manifestati meno frequentemente nei pazienti che hanno ricevuto pembrolizumab rispetto alla chemioterapia.
Pembrolizumab è l’unica molecola anti PD-1 ad aver dimostrato un miglioramento della sopravvivenza in ben 5 studi condotti nel tumore del polmone non a piccole cellule.
“Con questi nuovi dati – aggiunge il prof. De Marinis – pembrolizumab in prima linea aumenta significativamente la sopravvivenza globale (OS) in circa l’80% di tutti i pazienti con tumore del polmone ed è l’unico anti PD-1 ad aver raggiunto, ad oggi, un aumento di OS in tutti gli studi nel NSCLC. Resta di fondamentale importanza la determinazione dell’espressione di PD-L1 al momento della diagnosi per la scelta della strategia ottimale di trattamento per ciascun paziente”.
In Italia, a maggio 2017, l’Agenzia regolatoria italiana (AIFA) ha approvato pembrolizumab in prima linea per i pazienti colpiti da carcinoma polmonare non a piccole cellule in fase avanzata che esprimono il biomarcatore PD-L1 in misura uguale o superiore al 50%.
Nel 2017 sono state stimate in Italia più di 41.800 nuove diagnosi di tumore del polmone (oltre il 30% fra le donne). Rappresentano l’11% di tutti i nuovi casi di cancro nella popolazione generale. Si registra una marcata diminuzione di incidenza negli uomini (in relazione a una altrettanto marcata riduzione dell’abitudine al fumo), pari a -1,7%/anno negli anni più recenti. A questa tendenza fa purtroppo riscontro un aumento dei nuovi casi tra le donne (+3,1%/anno dal 2003 al 2017), proprio per la maggiore diffusione del vizio del fumo in questa parte della popolazione.
PD-L1 è un biomarcatore comunemente utilizzato per predire la risposta agli inibitori dei checkpoint immunitari, incluso pembrolizumab.