E’ diventata lo slogan con il quale diverse città del mondo – tra cui metropoli italiane come Milano – stanno reagendo a sfide importanti come quella climatica, ma la resilienza per chi si ammala di cancro è ancora di più: è l’arte di non soccombere, di riorganizzare la propria vita e opporre alle difficoltà una forza positiva.
Forza che “sembra svolgere un ruolo protettivo” per le donne che diventano mamme dopo un tumore o per quelle che invece si trovano ad affrontare una diagnosi in gravidanza. ‘Super mamme’ resilienti.
E’ quanto emerge da uno studio italiano portato al meeting annuale dell’American Society of Clinical Oncology (Asco), in corso a Chicago, fra i lavori selezionati per la pubblicazione. La ricerca ha come prima autrice Lucia Bonassi dell’Asst Bergamo Est e coinvolge diversi centri, tra cui l’Istituto europeo di oncologia (Ieo) di Milano. Ventisei le donne arruolate, di cui 20 sono diventate mamme dopo il tumore, e 6 hanno ricevuto la diagnosi in gravidanza.
“In questa parte del lavoro abbiamo valutato – spiega all’AdnKronos Salute Gabriella Pravettoni, direttore della Psiconcologia dell’Ieo – i fattori psicologici che possono proteggere le mamme con pregressa o attuale diagnosi oncologica dallo sviluppo di sintomi ansiosi-depressivi e da un disinvestimento affettivo verso il feto.
La resilienza, cioè la capacità di gestire e superare un evento stressante, sembra svolgere un ruolo protettivo. Infatti, livelli più alti sono associati a minori sintomi ansiosi-depressivi e a un maggiore investimento nella relazione prenatale mamma-bambino”.
In particolare, continua Pravettoni, “tre strategie che appartengono alla resilienza hanno avuto un maggiore impatto positivo sul benessere di queste donne. Avere una visione positiva del futuro e pianificare a lungo termine è correlata a minori livelli d’ansia e spossatezza. La percezione di una rete di supporto sociale attiva e partecipe è l’altro fattore che permette alla madre di dedicarsi alla costruzione della relazione tra lei e il nascituro, che si traduce in una maggiore intensità e qualità dell’attaccamento prenatale. Infine, il terzo fattore è la coesione famigliare: dove i valori sono condivisi, la fiducia è reciproca e ci si sente accettati, i livelli di rabbia e di sintomi ansiosi-depressivi sono più bassi”.
Molte donne che ricevono la diagnosi di tumore in età fertile, osserva la psiconcologa, “potrebbero avere il desiderio di costruire una famiglia e si trovano a dover rimandare questo progetto di vita e a sottoporsi a cure oncologiche che potrebbero ridurre le possibilità di avere figli in futuro. Dopo una fase di choc iniziale alla comunicazione dell’oncologo queste donne sono chiamate ad affrontare la loro malattia e il modo in cui viene affrontata determinerà l’impatto sul proprio benessere psicofisico. Qui entra in gioco la resilienza, la capacità di affrontare e gestire il percorso di malattia, e le strategie associate ad essa, che possono permettere a queste donne di superare l’evento stressante senza sviluppare fragilità o disturbi psicologici”.
Le pazienti resilienti spesso riportano una migliore qualità di vita, un rientro più veloce alla propria vita quotidiana e sono a minor rischio di disagio psichico. Quindi, sottolinea Pravettoni, “il ruolo della resilienza è fondamentale nell’esperienza e nel vissuto della malattia. Inoltre, permette alle donne con attuale o pregressa diagnosi oncologica di dedicarsi alla gravidanza e alla costruzione del legame del loro bambino come tutte le altre mamme”.
E sicuramente “si possono mettere in atto degli interventi psicologici che supportano il paziente nella consapevolezza dell’attuazione delle proprie strategie per affrontare la malattia e nello sviluppo di strategie complementari”. Un tema che ritorna spesso nei racconti delle donne che hanno avuto un tumore in passato è “il senso di rivincita sulla malattia – dice la psiconcologa – Spesso viene enfatizzato che la gravidanza segna in modo deciso la fine della malattia e la possibilità di mettere una piccola pietra su quel pezzo di passato. Altro tema ricorrente è la continuità del supporto emotivo del proprio partner“.
Quanto alle donne che scoprono un tumore in gravidanza, spesso vivono sentimenti contrastanti: “Da un lato esprimono immensa felicità alla possibilità di diventare mamme, dall’altro sono spaventate dalla diagnosi in un momento così delicato della propria vita. Sono chiamate a prendere delle decisioni difficili sui trattamenti oncologici, spesso alla ricerca di un delicato equilibrio tra la tutela della Salutepropria e di quella del feto”, spiega Pravettoni.
Altro sentimento prevalente è “la speranza di poter essere una ‘buona mamma’ nonostante le assenze dovute alle terapie a alla stanchezza associata ad esse”. Ora lo studio paragonerà alcuni aspetti psicologici, tra cui la resilienza, la relazione pre e post partum e i sintomi ansiosi depressivi, in tre gruppi: donne con tumore pregresso, donne con tumore in gravidanza e donne che non hanno avuto esperienza della malattia.
“Il confronto permetterà di valutare se ci sono delle aree di vulnerabilità particolare nelle donne oncologiche per poter fornire interventi di supporto psicologico più mirati”. È importante, conclude, “sottolineare che le donne con diagnosi oncologica possono diventare mamme nonostante la malattia. I medici specialisti dovrebbero sempre inviare le pazienti che vogliono costruire una famiglia da un oncologo esperto in fertilità e procreazione per un consulto”.