La caccia all’acqua su Marte dura almeno da 13 anni: troppo perché il padre del radar Marsis, Giovanni Picardi, riuscisse a vedere il risultato, “sfortunatamente è morto nell’agosto 2015, poco prima che si acquisissero i dati“, ha spiegato il coordinatore della ricerca basata sui dati del radar, Roberto Orosei, dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf). Al lavoro dal 2005, il radar Marsis (Mars Advanced Radar for Subsurface and IonosphereSounding), a bordo della sonda Mars Express dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa), aveva cominciato a fornire informazioni già fra il 2006 e il 2007, tali da accendere l’entusiasmo della comunità scientifica e dello stesso Picardi.
Nel 2012 è cominciata la nuova fase si raccolta dei dati e per questo è stato possibile vedere il grande picco che segnalava la grande massa d’acqua sotto il ghiaccio.
Volendo tornare ancora più indietro nel tempo, la storia della scoperta dell’acqua marziana è cominciata nel 1997, quando in una riunione al Kennedy Space Center della Nasa, a Cape Canaveral, il gruppo di lavoro dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa) annunciava l’intenzione di promuovere una missione su Marte rapida e con costi contenuti. “In quell’occasione proponemmo di equipaggiare quella missione con un radar a bassa frequenza per cercare oceani di acqua liquida nel sottosuolo di Marte“, ha spiegato all’ANSA Enrico Flamini, docente di Planetologia presso l’Universita’ di Chieti-Pescara e responsabile di progetto dell’esperimento Marsis per l’Agenzia Spaziale Italiana (Asi). “Dalle missioni Viking in poi era evidente che su Marte ci fosse stata acqua in passato, che questa avesse lasciato le sue tracce sulla superficie del pianeta come ghiaccio e che buona parte fosse andata perduta con il vento solare“, ha detto Flamini, che nel 1979 aveva scritto con Marcello Coradini, dell’Esa, l’articolo che commentava le possibilita’ aperte dai dati delle missioni Viking. “Quelle che allora sembravano ipotesi azzardatissime, oggi sembrano essere confermate“. “Se nella storia del pianeta c’era stata tanta acqua significava che Marte doveva avere avuto una storia non dissimile da quella della Terra e che l’acqua poteva trovarsi in una cavita’ sotto la superficie“.
Sarà Marte a dirci se siamo soli nell’universo: “Il fulcro di tutto e’ la presenza di acqua liquida: e’ il senso della ricerca dell’acqua. In questi anni ci sono stati tanti annunci, ma hanno sempre riguardato condizioni specifiche, come la comparsa di piccoli ruscelli stagionali“, ha spiegato all’ANSA Roberto Orosei, dell’Istituto di Radioastronomia di Bologna dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf) e primo autore della ricerca che, sulla rivista Scienza, ha annunciato la scoperta. “Ci si pone il problema di trovare acqua su Marte fin dalle missioni Viking, che alla fine degli anni 70 avevano inviato a Terra le immagini delle tracce lasciate sul suolo marziano dall’acqua che scorreva in passato sul pianeta. Quelle immagini indicano che c’e’ stato un tempo in cui Marte era abitabile, con un clima simile a quello della Terra, ma nel tempo il pianeta ha perso la sua atmosfera e con essa l’effetto serra che lo riscaldava. Di conseguenza l’acqua e’ ghiacciata e poi e’ scomparsa. Restavano i segni lasciati dalla presenza dell’acqua, ma restava da capire dove fosse finita“.
Ora “la scommessa e’ riuscire a capire se su Marte c’e’ stato un tempo sufficiente per l’origine della vita. La domanda fondamentale, alla fine, e’: siamo soli nell’universo? Avere la risposta da Marte e’ importante perche’ significa sapere che c’e’ un pianeta simile alla Terra nel quale la vita si e’ sviluppata ed e’ importante cercare indizi su come questo sia accaduto. Se riuscissimo a dimostrare se la vita abbia mai cominciato a esistere su Marte oppure no, gia’ potremmo cominciare a trarre conclusioni sulla possibilita’ della vita nell’universo, potremmo capire come si sia passati dalla non vita alla vita. Non sappiamo che cosa sia successo sulla Terra nel passaggio dalla non vita alla vita e Marte potrebbe aiutarci a capire questo periodo oscuro“.
“L’acqua e’ stabile, c’è e resiste attraverso le stagioni e costituisce potenzialmente un habitat per la vita, ossia è un ambiente che potrebbe avere i requisiti per la vita“.