“Nei prossimi anni vorrei vedere il volo intercontinentale come lo conosciamo noi trasformarsi in un volo interplanetario e vedere l’uomo stabilirsi stabilmente sulla luna e su Marte perché oggi possiamo farlo”, esordisce così Tommaso Ghidini, 43 anni, ingegnere a capo della divisione materiali, strutture e meccanismi dell’Agenzia Spaziale Europea, ospite di “Europa Europa. Obiettivo Marte”, trasmissione di Radio24.
La divisione, con sede in Olanda, “si occupa di tutta l’ingegneria strutturale” e di “qualificare per il volo spaziale tutte le missioni che l’agenzia spaziale correntemente sviluppa, quindi tutti i progetti di osservazione ma anche di telecomunicazione e tutti i progetti per andare nello spazio”, quindi lanciatori, stazione orbitante, missioni di esplorazione spaziale e di altri pianeti.
Un esempio portato da Ghidini spiega chiaramente il compito della sua divisione. L’ingegnere si sofferma su un particolare materiale sviluppato dagli uomini primitivi per dipingere le caverne, ossia ossa di animali bruciate. Il prodotto di tale combustione oggi andrà a rivestire lo scudo termico in titanio che proteggerà la sonda Solar Orbiter dalle estreme temperature a cui sarà sottoposta in quella che sarà la missione dell’ESA per studiare il sole a distanza ravvicinata (40 milioni di km). “Una tecnologia sviluppata nella preistoria ci permette di sviluppare la più avanzata missione che l’uomo abbia mai concepito”, spiega Ghidini.
Per arrivare alla colonizzazione di altri mondi si procederà per gradi, come per tutte le missioni spaziali. Ghidini spiega che si inizierà con delle visite robotiche, per poi trasformare la missione sempre di più in una colonizzazione umana. E anche in quel momento si procederà con gradualità: prima la luna perché è molto più vicina rispetto a Marte, il che “significa che possiamo validare le tecnologie in un ambiente altamente realistico, cioè su un altro pianeta, ma non così distante da non poterci permettere di intervenire dovesse andare storto qualcosa”, precisa.
A questo punto si va al centro della questione: come vengono realizzati i moduli abitativi studiati per abitare sulla luna? “L’idea è quella di mandare un gonfiabile sulla luna che si gonfia automaticamente e avere robot che automaticamente costruiscono la struttura robusta e resistente attorno a questo gonfiabile, utilizzando stampanti 3D e utilizzando il sole come fonte di energia per fondere la regolite lunare, cioè la polvere che è già sulla luna, invece di una missione oggi tecnicamente irrealizzabile che è quella di inviare materiali, utensili e personale sulla luna per costruire la base”.
Scendendo più nel dettaglio, Ghedini spiega: “La stampante 3D permette un’enorme varietà di applicazioni, quindi si può andare dall’estremamente piccolo all’estremamente grande. Nel caso della base lunare, sarebbe l’estremamente grande, che però non è un problema perché se, come nel nostro concetto, si usa una stampante 3D robotica che si muove roboticamente, quindi su un rover, a quel punto la dimensione non è più un problema , cioè si può costruire qualunque dimensione perché la stampante, cioè l’oggetto che costruisce, si muove liberamente nello spazio e anche a lunghe distanze. L’altra opzione è quella di costruire mattoni, cosa che abbiamo già fatto, di regolite lunare fusi strato per strato attraverso l’energia solare e una lente di ingrandimento che focalizza la luca solare e messi in posizione da droni. Questo non si può fare sulla luna perché non c’è atmosfera, quindi i droni non possono volare perché non c’è aerodinamica, ma si può fare su Marte. Quindi le due opzioni sono o costruire con un robot su rover che automaticamente strato per strato mette la polvere e con una lente d’ingrandimento la cuoce e continua a fare così finché tutta la struttura di questo guscio, come un igloo, viene costruita oppure avere una macchina stabile, non mobile, che costruisce mattoni, li mette all’esterno dove ci sono dei droni che afferrano il mattone e lo mettono in opera, costruendo una casa”.
Ghidini aggiunge che la stampante in grado di fare un lavoro del genere avrebbe la grandezza di un piccolo rover su ruote e sarebbe capace di costruire un “igloo” per 4 persone in un mese e mezzo di lavoro con le tecnologie attualmente a disposizione. Una simile costruzione proteggerebbe gli astronauti da due delle più grandi minacce sulla luna e su Marte: alto livello di radiazioni e impatto di micro-meteoriti (questo principalmente sulla luna, priva di atmosfera).
Ghedini sottolinea poi l’importanza di utilizzare i materiali già presenti sulla luna e su Marte, condizioni imprescindibile per poter realizzare una missione del genere, “non potrebbe essere possibile tecnologicamente, logisticamente ed economicamente” trasportare i materiali dalla Terra. Ma la regolite lunare e marziana non basterà: Ghidini afferma che serviranno altri materiali, come plastiche e metalli, per costruire oggetti, equipaggiamenti e parti che serviranno agli astronauti e in questo caso entreranno in gioco i rover e i lander (che una volta atterrati avranno esaurito la loro missione e saranno spazzatura lunare o marziana) e quindi verranno impiegati per realizzare nuovi oggetti come in una sorta di riciclo.
Dopo questa descrizione incredibilmente affascinante, si ritorna con i piedi per terra e si parla di “fattibilità” del progetto. Ghidini afferma che per realizzare effettivamente la missione occorre “un accordo politico su scala mondiale”, grazie anche all’”aiuto di investitori privati, come Elon Musk o Amazon”. “Nella scienza la competizione è sana e ci vuole, ma una competizione scientifica che abbia un obiettivo comune e in quell’obiettivo comune, collaborazione su tutti i fronti”, conclude.
Non ci resta che aspettare. Intanto, dopo il racconto di Ghidini, possiamo già cominciare a sognare il primo igloo umano su Marte.