I cromosomi di mamma e papà rimangono separati nell’embrione, almeno nelle prime fasi del suo sviluppo. A scoprirlo il Laboratorio europeo di biologia molecolare (Embl) a Heidelberg, in Germania, i cui esperti ne parlano sulla rivista ‘Science’. Un principio che potrebbe sconvolgere le tesi sull’origine della vita umana.
In alcuni Paesi, infatti, la legge afferma che la vita inizia – ed è quindi protetta – quando i nuclei materni e paterni si fondono, dopo la fecondazione. Si scopre oggi che questa unione potrebbe avvenire leggermente dopo, a seguito della prima divisione cellulare. Il condizionale è d’obbligo, in quanto lo studio è stato effettuato su embrioni di topo esaminati con una nuova, brillante tecnologia, sfruttando un microscopio a foglio luminoso che consente l’imaging in tempo reale e in 3D delle prime fasi di sviluppo dell’embrione, quando è molto sensibile alla luce e verrebbe danneggiato dai metodi convenzionali di microscopia ottica.
Si è pensato a lungo che durante la prima divisione cellulare di un embrione, ci fosse solo un ‘fuso’ (un sottile gruppo proteico tubolare, che ha la funzione di argano) a sostenere i cromosomi dell’embrione. Gli scienziati dell’Embl ora mostrano che ci sono in realtà due fusi, uno per ogni set di cromosomi parentali, il che significa che l’informazione genetica di ciascun genitore resta divisa dall’altra durante la prima divisione cellulare. Questa formazione ‘a doppio fuso’ potrebbe spiegare l’alto tasso di errori nelle prime fasi di sviluppo embrionali dei mammiferi.
Gli scienziati hanno sempre saputo che i cromosomi materni e paterni occupano due parti a forma di mezza luna nel nucleo di embrioni a due cellule, ma non era chiara questa netta divisione. “Lo scopo di questo progetto era proprio scoprire perché avvengono così tanti errori nelle prime divisioni”, afferma Jan Ellenberg, leader del gruppo di ricerca.
“Conoscevamo già la presenza di due ‘argani’ in organismi più semplici come gli insetti, ma non pensavamo che potesse essere lo stesso anche nel caso di mammiferi come i topi. Una scoperta che per noi è stata una grande sorpresa, che dimostra come dobbiamo sempre essere preparato all’inaspettato”.
“Ora – conclude – abbiamo un nuovo meccanismo da studiare per identificare bersagli molecolari innovativi: sarà importante scoprire se funziona allo stesso modo anche negli esseri umani, perché in caso affermativo questo ci porterebbe informazioni preziose per la ricerca su come migliorare il trattamento della sterilità umana”.