“Il consumo di suolo nelle regioni turistiche marcia sulle coste a un ritmo quadruplo rispetto al resto del territorio nazionale“. E’ la lettura che la Consulta Ambiente e territorio da’ del reportage reso pubblico in questi giorni dall’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale.
Secondo la Consulta non basta questa constatazione di fondo a sgombrare il campo da equivoci. Ed è questa la ragione che ha ispirato un documento con cui l’organizzazione ambientalista pone alcune domande.
“Quando qualcuno afferma che la Sardegna e’ fra le regioni turistiche meno afflitte dal consumo di suolo costiero, su quale modello di comparazione basa questa rassicurazione?“, è la prima. E ancora.
“Qual è il sistema di misurazione adottato?“. La Consulta cita uno studio scientifico pubblicato da Legambiente sul proprio sito. “Ci sono i dati sul consumo di suolo costiero in Sardegna dal 1988 al 2013″, è spiegato.
Segue una serie di argomentazioni tecniche con un unico obiettivo: “mantenere alta l’attenzione sul carattere essenzialmente speculativo del consumo di suolo sulle coste della nostra isola, indipendentemente dalle destinazioni d’uso a cui il tratto di costa si assoggetta“, sostiene la Consulta Ambiente e Territorio.
“Tutte le attenzioni e le urgenze riversate dalla politica sul Ddl Urbanistica poco hanno a che vedere con le esigenze reali della popolazione locale, comprese le ragioni di uno sviluppo economico che riguardi la gran parte della cittadinanza sarda“, è la rivendicazione della Consulta, secondo cui “anche il suolo in cui il consumo è “a bassa densità” è distruttivo dei paesaggi e molto pericoloso anche a causa del carattere strisciante con il quale tende a invadere suoli agrari che normalmente sarebbero da destinare a esigenze produttive importanti proprio per le popolazioni locali”.