Astronomia: come andremo su Marte? E perché non siamo più tornati sulla luna? Risponde Stefano Bianchi, ingegnere dell’ESA

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Oggi si parla sempre più di ritorno sulla luna e di viaggio su Marte, ma quale tecnologia ci permetterà di raggiungere questi obiettivi? Stefano Bianchi, 58 anni, ingegnere da 30 anni presso l’Agenzia Spaziale Europea, è l’ospite di “Europa Europa. Obiettivo Marte”, trasmissione di Radio 24, che apre il suo intervento fornendo due precise distanze: 384.000 km luna-Terra e 225 milioni di km Marte-Terra. Per coprire quest’ultima distanza servono tra i 9 e gli 11 mesi e per un viaggio completo 30/36 mesi.

Queste informazioni sono fondamentali dal momento che il tema dell’intervento ruota intorno a queste due domande: Se siamo riusciti a portare dei rover su Marte, perché non riusciamo a mandare un equipaggio? E perché non siamo più tornati sulla luna dalla missione del 1972?

spazio marteBianchi comincia dalla prima domanda: “Ci sono molte ragioni per questo, perché innanzitutto abbiamo avuto tante missioni su Marte, per altro due terzi delle missioni su Marte sono fallite. Da Viking degli anni ’70 fino ad oggi abbiamo un tasso di fallimento importante su Marte perché ovviamente ci sono tante cose che dobbiamo capire. Dobbiamo capire anche prima di mandarci l’uomo. Una missione umana comporta delle sfide completamente diverse perché una cosa è perdere una sonda, una cosa è perdere un astronauta. Quindi non è soltanto un problema tecnico ma di conoscenze dettagliate per affrontare questo tipo di missione. È una missione assolutamente fattibile però bisogna deciderla una missione del genere e mettere anche i fondi e le risorse necessarie. Poi seguono tutte le attività di ingegneria. Sarebbe un programma straordinario. La decisione negli ultimi 20 anni è stata di colonizzare lo spazio con le sonde, con i robot essenzialmente, per la difficoltà e per i costi anche legati all’attività umana nello spazio”.

AFP/LaPresse

Samantha Cristoforetti, prima astronauta italiana, in un estratto spiegava: “Ogni tanto mi chiedono “ma perché se siamo andati sulla luna 50 anni fa, poi non ci siamo più andati?”. Perché serve un razzo così. All’epoca ce l’avevamo e si chiamava Saturn V e poi quando hanno smesso di costruirlo, non c’era più. E un razzo del genere è una cosa tipo Ponte sullo Stretto di Messina: non è che non lo sappiamo fare, però devi decidere di farlo, devi finanzialo, devi continuare a supportare questo progetto per molti anni ecc ecc. Quindi è successo così anche con questo. Però adesso sono 10 anni che è in sviluppo e si chiama SLS (Space Launch System) ed è previsto che faccia il suo volo probabilmente l’anno prossimo”.

Bianchi dà qualche notizia in più: “SLS è un programma americano di un nuovo gigante comparabile a Saturn V per grandi missioni di esplorazione. Per darvi un’idea, oggi, per esempio, Vega è un lanciatore di classe piccola, in realtà sono 30 metri e 130 tonnellate al decollo”. Bianchi spiega che è l’equivalente di 6/7 tir che arrivano a 7/8 km/s in circa un’ora e poi continua: “Saturn V è un lanciatore di 100 metri con 3.000 tonnellate al decollo. Quindi, è un palazzo che si alza, ma non solo si alza, raggiunge anche delle velocità di 25/30.000 km/h. Quindi è chiaro che l’energia per arrivare a queste velocità è enorme e questa è tutta la tecnologia dei razzi. Quindi, sappiamo fare i razzi. Oggi perché ci siamo orientati a fare razzi più piccoli? Perché essenzialmente invece di pensare a grandi missioni, come diceva Samantha, pensiamo a colonizzare lo spazio sempre di più dal punto di vista commerciale, quindi sempre di più servizi e l’economia spaziale sta avendo un boom. Per cui noi abbiamo recuperato i “furgoni”, i “tir” dello spazio per portare sempre più servizi. Dall’altra parte, però, c’è la parte esplorazione che è sempre la grande sfida, la bellezza del confine dello spazio, di arrivare sempre un po’ più in là. E per questo ci vogliono grandi razzi (e avete visto la differenza di dimensioni) e grandi programmi, che per andare su Marte non è soltanto arrivarci ma poi bisogna tornare indietro”.

LaPresse/Reuters

Poi l’ingegnere spiega il legame tra razzo e carico: “Per fare un esempio terrestre, diciamo, è come se aveste un’automobile che pesa 1.500/2.000 kg e ci fossero 1.800 kg di benzina. Questo è un razzo. Essenzialmente in un razzo sulle 3.000 tonnellate, circa il 90% è benzina, propellente. Quindi, diversi propellenti che si usano per la propulsione spaziale, dalla propulsione più efficiente che è idrogeno e ossigeno liquido fino alla propulsione solida, che sono praticamente dei petardi perché c’è della polvere all’interno come i fuochi d’artificio. Quindi, 90% propellente, poi strutture, motori e tutto quello che è necessario per controllare questa enorme energia che viene scatenata da questi motori”.

Poi Bianchi si ferma ad analizzare il declino dello shuttle: “Lo shuttle si è fermato per problemi di costo. Quando è nato alla fine degli anni ’60, l’idea degli americani era di utilizzare lo shuttle per mettere in orbita satelliti. Però i costi erano enormi. Perché fare un lancio commerciale con degli astronauti non aveva senso perché nel momento in cui si mettono degli astronauti tutti i sistemi di sicurezza sono diversi. Quindi i sistemi di sicurezza necessari aggiungono massa, aumentando la massa bisogna aumentare la propulsione e quindi si entra in un circolo che ovviamente porta all’aumento dei costi. Quindi, oltre al grave incidente del Challenger che portò allo stop delle attività dello shuttle, ovviamente al momento in cui ci fu il grande boom dei sistemi di telecomunicazione negli anni ‘80/’90, lo shuttle non era più adatto a questo tipo di mercato e cominciarono a salire in frequenza i lanciatori dedicati ai lanci di satelliti commerciali, tra cui Ariane”.

Ma allora su Marte come ci andremo? Bianchi risponde che ci andremo usando le stesse tecnologie di propulsione che si usavano su Saturn V: “Sull’elettronica siamo andati estremamente avanti, la stessa cosa non può dirsi sulla propulsione. Non abbiamo un cambio radicale di tecnologia che ci permette di raggiungere un gradino molto più elevato. Quindi oggi se vogliamo andare su Marte utilizzeremo le stesse tecnologie di propulsione. Ovviamente stiamo lavorando anche su altre tecnologie di propulsione però nessuna di quelle che abbiamo oggi ci permette di avere l’impulso necessario per superare la forza di gravità e raggiungere le velocità necessarie per uscire dall’orbita terrestre e cominciare il viaggio verso Marte. Poi ci sono diverse opzioni. Per esempio, un’opzione è avere una nave che orbita intorno alla Terra, quindi si raggiunge la nave e poi ovviamente l’impulso da dare se uno è già in orbita è più basso, invece di avere un gigantesco razzo che dà tutto l’impulso da Terra a Marte. Sono diverse opzioni che sono in studio, ma come tecnologie di propulsione usiamo essenzialmente le stesse di 50 anni fa”.

Credit: NASA

Come funziona un viaggio così lungo? Bianchi: “Funziona secondo la prima legge della dinamica: se non c’è una forza che agisce su un corpo, questo procede a velocità uniforme. Il problema di base è dargli l’impulso per raggiungere una velocità uniforme per arrivare su Marte. Poi ovviamente la questione della traiettoria, perché per andare su Marte si seguono traiettorie particolari che permettono di risparmiare energia usando le varie orbite e le attrazioni gravitazionali degli altri pianeti e del sole per cercare di arrivare nel minor tempo possibile e con un utilizzo minore di energia”.

Infine, l’ingegnere parla del lanciatore Vega e degli sviluppo futuri: “Ad oggi è l’unico lanciatore al mondo che abbia avuto solo successi in volo ed è anche  una realtà commerciale perché viene venduto sul mercato e oggi ha il 50% del mercato della propria categoria. Stiamo lavorando ad uno sviluppo ulteriore di Vega, quindi aumentare le performance e ridurre i costi perché lavoriamo in un ambito estremamente competitivo con gli Stati Uniti”.

Bianchi spiega che sono in sviluppo il successore di Ariane 5, Ariane 6, che ha circa 800 tonnellate al decollo, e una navetta di rientro, Space Rider, per avere con Vega un sistema integrato di lancio e rientro dallo spazio. È un progetto in cui l’Italia ha investito molto e sarebbe un caso unico oggi perché in Europa non ce l’ha nessuno e soltanto negli Stati Uniti c’è un veicolo segreto per utilizzo militare che svolge lo stesso tipo di funzioni.

Insomma, la grande sfida è lanciare sempre di più ma a costi ridotti. Ovviamente il grande competitor è Elon Musk che con Space X ha rivoluzionato il settore.

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