Salute, infettivologi: il batterio delle Canarie forse già in Italia ma finora no casi

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Il batterio Klebsiella pneumoniae St392, che ha colpito i turisti ricoverati nell’ospedale delle Canarie, è stato identificato in Turchia nel 2003. Poi sono stati registrati casi in Francia e Regno Unito. La situazione italiana sul fronte dei batteri multiresistenti è piuttosto infelice, perché è un problema che abbiamo già in casa“. Così Massimo Galli presidente della Società italiana malattie infettive e tropicali (Simit) commenta all’Adnkronos Salute l’allarme superbatterio alle isole Canarie dove 13 turisti sono stati colpiti tra gennaio e aprile dal superbatterio Klebsiella pneumoniae St392.
C’è un problema notevolissimo in Italia su questo batterio e più in generale nei Paesi del Sud-Europa, a prescindere dai ceppi che sono assai diversi tra loro, ma molti sono multiresistenti. Probabilmente il ceppo osservato alle Canarie è già presente in Italia, ma al momento non sono segnalati casi“, spiega Gianni Rezza, direttore del Dipartimento Malattie infettive dell’Istituto superiore di sanità (Iss). Gli ultimi dati dell’Iss sui casi di Klebsiella pneumoniae resistente ai carbapenemi segnalano almeno 2.000 casi l’anno. La resistenza è salita rapidamente dall’1,3% nel 2009 al 27% nel 2011 fino al 33% nel 2015. Il batterio multiresistente può provare polmonite, infezioni nel tratto urinario e nelle ferite per quanto riguarda soggetti immunodepressi.
L’Italia è uno dei Paesi in Ue ad alta endemia per questa tipologia di batteri che si sviluppano in contesti ospedalieri, c’è stata una crescita enorme di casi come evidenziano i report dell’Iss – avverte Galli – lo scorso anno è stato varato un Piano nazionale per combattere le resistenze antimicrobiche visto che per la nostra gravissima situazione c’è stata una sollecitazione dall’Ue. Tutte le Regioni in caso di segnalazioni devono attuare iniziative volte a limitare la diffusione del rischio. Una delle pratiche – ricorda l’esperto – è la cosiddetta chiave di valutazione di stato di portatori dei pazienti e poi occorre attivarsi per il corretto uso degli antibiotici in ospedale e tra la popolazione, ma questa è una strategia di salute globale“.

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